10 album per capire gli ultimi 10 anni

10 album per capire gli ultimi 10 anni

Si può raccontare la società dell'ultimo decennio attraverso 10 album pubblicati esattamente 10 anni fa? La premessa è senz'altro ambiziosa, e probabilmente anche presuntuosa, ma qui vogliamo provare a darvi una nostra visione retrospettiva sui cambiamenti socio-culturali che siamo stati costretti, volenti o nolenti, ad accettare in questo recente lasso di tempo. Lo faremo parlando di quelli che riteniamo gli album, se non più significativi, sicuramente più 'eloquenti' del 2015. Tenetevi pronti a un bagno di ricordi.


1 | Mac DeMarco - Another One

Ricordate gli inizi dei vari Calcutta, Giorgio Poi, Colombre, Gazzelle, cioè tutta quella scena che sull'onda der ciccione de Latina iniziò a spopolare verso il 2015? Ecco, probabilmente questa wave non sarebbe mai esistita senza questo soggetto canadese. Se non da un punto di vista strettamente musicale, quantomeno dello spirito e dell'attitudine, perchè nell'incellofanato sistema musicale del tempo, DeMarco annunciò al mondo un'altra via di concepire le love songs. E così la sciattezza diventava autenticità, l'estetica lo-fi assurgeva a simbolo di libertà creativa, freakness e ironia potevano raccontare esperienze bittersweet. Quell'indie era l'espressione genuina dei millennials fuori sede iscritti alle più stravaganti facoltà bolognesi: ansia di self-expression come reazione all'impaludamento social, adulting posticipato e prospettive di lungo raggio negate dal precario mondo del lavoro. Ad ogni modo, Another One fu l'ennesima dimostrazione che poteva farsi musica di qualità anche al di fuori dalle major, al di fuori dei grandi studi, al di fuori degli schemi.


2 | Title Fight - Hyperview

La lezione offerta dal terzo album in studio degli americani Title Fight è ancora oggi sottostimata e, se non come inventori, a loro va riconosciuto il merito di aver codificato molta parte di quello a cui oggi ci si riferisce con emogaze. L'emo punk ovviamente era ancora in voga prima di loro, ma conservava scrupolosamente la sua tradizionale sguaiatezza dai ritmi upbeat. Il lavoro su Hyperview, grazie anche alla produzione estrosa di Will Yip, fu di contaminare lo stile con i tempi slowcore e le atmosfere shoegaze, conferendo alla setlist una maturità e un'introspezione inedite nell'universo punk. Se un decennio prima la scena assumeva ancora una dimensione di reazione 'collettiva' al mainstream e al conformismo, l'emo dei Title Fight prende i contorni di una riflessione molto più intima e 'individualista'. Questa era la musica dei dissociati, di coloro che non volevano (ma anche non riuscivano) a prender parte all'agone delle performance sociali su Instagram, depressi dai likes della ex al tizio con cui suonavano insieme nella cover band dei Blink.


3 | Coldplay - A Head Full of Dreams

A inizio millennio i Coldplay rappresentavano una speranza. Quattro facce pulite dell'upper middle class inglese che, senza pacchianate esibizioniste e scelte stilistiche piacione, sembravano poter dare un'occasione di rivalsa a tutti quegli outsider che detestavano tanto il conformismo dei cool guys quanto l'anticonformismo-conformista degli alternativi. Purtroppo, il loro post-britpop alla Radiohead durò lo spazio di appena due album, scadendo velocemente in scelte radiofoniche ai limiti del mefistofelico. Neppure Brian Eno, che pure provò a indirizzare le loro capacità verso qualcosa di interessante in Viva la Vida, ebbe la forza di arginare questo tsunami di gold-digging. A Head full of Dreams fu la pietra tombale su un discorso che era già andato irrimediabilmente deflagrandosi da Mylo Xyloto. Musica per universitari in Erasmus, cittadini vegani del mondo, pronti a mettere Adventure of a Lifetime in una storia sotto l'emoticon della bandiera europea.


4 | Blue Smiley - ok

L'esordio dei Blue Smiley è stato fulminante, ma non nel senso che magari vi state immaginando ora che leggete. Un album che per definirlo 'toccata e fuga' impiegheremmo più tempo della sua stessa durata: 10 tracce per 18 minuti totali. Non è solo un discorso di cosa ovviamente, ma anche di come: accordi jazz, improvvisi cambi dinamici, distorsioni alla Garbage e atmosfere dreamy, tutto condensato in brani mediamente tra il minuto e mezzo e i due. La crescita della band di Filadelfia si è arrestata tragicamente due anni dopo l'uscita del disco, quando il cantante Brian Nowell appena 26enne morì di overdose. Ok rimane però ancora oggi una hidden gem degli anni '10 e, in un momento in cui le piattaforme streaming e le strategie dell'establishment musicale immiserivano progressivamente la soglia dell'attenzione degli ascoltatori, sembrava attuare una scelta molto alla Elio Belisari: qualcosa del tipo "non riuscite ad ascoltare un brano più lungo di 3 minuti? Ok. Allora vi mettiamo tutto in 90 secondi".


5 | Pinkshinyultrablas - Everything Else Matters

L’avvento di Spotify e la proliferazione virulenta di band una più simile dell’altra creó probabilmente una diffusa sensazione di stagnazione che indusse molti a esprimere la propria originalità già a partire dal biglietto da visita. Se anche band nostrane si presentavano con formule 70s che non avevano nulla a che fare con la dimensione acida (Pinguini Tattici Nucleari, Lo Stato Sociale, Eugenio in via di Gioia etc), non sarebbe bastato un trattato freudiano per spiegare il manifesto ideologico dietro il nome di questa band russa. Lo shoegaze si attagliava bene alla ricerca intimista di questi anni (di cui abbiamo parlato prima e che approfondiremo in seguito), ma gli anni '90 erano finiti da un pezzo e per uscire dai confini di Madre Russia serviva qualcosa che attecchisse nel mercato su più larga scala. Allora ecco che i canonici chitarroni distorti stringono la mano a ritmi e mood che, se non proprio danzerecci, danno sfogo a una parata variopinta da Holi Fest.


6 | Verdena - Endkadenz vol. 1

Nel 2015 l'attesa in Italia per il nuovo album dei Verdena, a quattro anni da Wow, arrivò ad assumere connotati messianici. L'ammirazione alimentatasi negli anni della scena alternative nostrana per la band bergamasca probabilmente risiede in una loro qualità, aliena a quasi tutta la storia, musicale e non, italiana: la coerenza. In Endkadenz, infatti, i Verdena rimisero tutto in discussione e mischiarono diverse carte, pur senza mai cambiare mazzo. I graffi e gli spigoli di Requiem sono stati smussati, il disagio giovanile degli esordi ingentilito e arricchito di estro creativo, la band ora ha un'identità tutta e solo sua. I 16enni che li ascoltavano nei primi anni 2000 erano cresciuti, ma in molti casi (come spesso accade) non avevano ancora superato i propri demoni dell'adolescenza. Semplicemente li avevano razionalizzati diversamente, in un contesto se possibile più fosco che in apertura di millennio, a suon di Jobs Act, movimenti politici anti-casta, retorica populista e contestazioni da Expo meneghino.


7 | Beach House - Depression Cherry

Si dice che la musica sia prima di tutto evasione, e forse pochi casi possono fregiarsi di questa qualità come i Beach House di Depression Cherry. Nella prima metà degli anni '10 si stava riscoprendo la dimensione 'intima', alimentata dalla cultura neo-liberista, dai movimenti slow-living e in risposta all'oversharing emotivo dei social. Tutto questo si traduceva nel quinto album del duo di Baltimora in sobrissimi tappeti di pad accompagnati solo da drum machine e canti di un languore slowdiviano talmente accentuato da sembrare voci della propria coscienza. L'angelica Space Song era la tipica mina che passava a tradimento in radio un lunedì pomeriggio di ritorno a casa subito dopo esserti lasciato con l'ex, a ricordarti che la tua solitudine, per quanto dolorosa, fosse la misura e risposta a tutto. Zero fronzoli, mai una sovrastruttura, nessuno scossone; qui tutto è spoglio ed essenziale, come il fondo della tua anima.


8 | Tame Impala - Currents

Pensate che trauma a inizio anni '10, e cioè ai primordi della digitalizzazione pervasiva, ricevere raffiche di notifiche push lavorative e scoprire che non esisteva più scusa che tenesse davanti a una spunta blu. Immaginate che riconversione collettiva di time-tolerance grazie alle perfomance di Spotify o Amazon (al tempo la chiamavo cultura del tutto e subito). Immaginate rientrare a casa dopo un'ora di imbottigliamento nel traffico, accendere la tv e venir bombardati da notizie su crisi mondiali e precarietà nel lavoro. Ecco, lo psych-pop di Tame Impala era una sorta di risposta a tutto questo, un diazepam per l'anima, forse meno trip e più meditazione, ma anche nostalgia per i '70s come epoca di libertà spirituale in contrasto con una società frenetica. Che poi quella patina screziata vintage conferisse un boost pazzesco al proprio profilo Instagram è un'altra storia, forse in contraddizione, ma alla fine anche sticazzi.


9 | Cage the Elephant - Tell me I'm Pretty

"Dimmi che sono carino" è un mantra che potrebbe rappresentare perfettamente il diffuso bisogno di validazione sociale ed ego-boost degli anni '10, e del resto anche un pezzo come How are you true? sembra porre l'accento su questa dissociazione tra dimensione superficiale e vita reale. Se poi ci aggiungiamo versi come "Dicevo un sacco di parole, ma non so se dicevo la verità", allora si intende che il j'accuse contro la società post-moderna è più che una semplice suggestione. La maggior parte della setlist è composta fondamentalmente da ballad piuttosto radiofoniche, ma lo stesso richiamo a sonorità di ispirazione garage 70s sa molto di reazione a un contesto musical-industriale in cui non ci si sente esattamente a proprio agio. Praticamente una logica molto grillina di sabotaggio del sistema dall'interno. La parabola non si discosta neanche così tanto: 10 anni dopo i 5 stelle sono scesi al 12% nei sondaggi, i Cage the Elephant hanno rilasciato Neon Pill.


10 | Florence + The Machine - How Big, How Blue, How Beautiful

Lato empowerment femminile inserisco Florence Welsh, un po' per gusto personale, un po' per il suo continuo sostegno dal giorno zero di carriera alla causa femminista e al mondo LGBTQ+, in anticipo di qualche anno anche sul Metoo. Se ci pensate, i primi anni 2000 sfoggiavano un'estetica a dir poco futurista e avant-garde: i Daft Punk, Lady Gaga, l'IDM. Forse questa ingenua fiducia verso un progresso che potesse andare di pari passo con l'accelerazione tecnologica si andò stemperando a ridosso degli anni '10, privilegiando il ritorno nel pop a un'estetica old school (Tame Impala, Hozier, Lana del Rey). Con una presenza scenica a metà strada tra sacerdotessa e artista freak di qualche collettivo, Florence incarna esattamente il modello di quegli anni: voce potentissima dal sapore vintage, impianto indie-folk, impronta chitarristica 70s.


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