5 dischi emo italiani che (forse) non avevi ancora ascoltato

Una playlist spotify ha rinominato un po' goliardicamente questa scena come Centrovest Emozionale. Se da un lato l'operazione risulta arbitraria, riportando coattamente uno specifico fenomeno americano senza ricontestuallizarlo nella geografia italiana, dall'altro restituisce perfettamente l'idea di cosa abbia significato questo movimento per la musica nostrana. Alla prima ondata anni '10, quella dei Fine Before you Came, Verme e Gazebo Penguins, ne è seguito un secondo rinascimento, più recente, che fa capo a band come Riviera, Gomma e Quercia. La lunga scia di questi gruppi ha ispirato un filone tutt'altro che stazionario e che continua ad aggiungere capitoli al suo memoir. Oggi vogliamo segnalarvi cinque uscite recenti che ci hanno colpito particolarmente.
1 | Verogna - Verogna

Primo (eponimo) album della giovanissima band milanese. Gli arpeggi math incontrano l'energia punk e si amalgamano con le velleità pop del cantato, ricordando un po' l'emotività traboccante di band come i The Get Up Kids. Voci angeliche e indifese sbraitano malesseri adolescenziali ed emarginazione che, sebbene qua e là vagamente convenzionali (la provincia, la nebbia fitta, le strade non sicure per uno come me), trovano sbocco in altri casi in correlativi oggettivi interessanti ("in questi mesi ho scoperto che i palazzi sentono"). E così, magari, in una setlist così coerente e fedele a sè stessa, a spiccare è la delicata e genuina ballad Pasta, saggiamente inserita a epilogo melodrammatico del disco, da cui affiorano persino sezioni di fiati all'American Football o, volendo, alla Riviera, giusto per restare nelle periferie del nostro Bel Paese. La naivetè giovanile, energica e a tratti commovente, può essere paradossalmente sia il punto di forza che di debolezza del disco, molto dipende forse dallo stato d'animo con cui vi approcciate.
2 | Meant - Meant

Altro album eponimo, altra opera prima. I veneti Meant pubblicano il loro EP di debutto con Kosmica Dischi, omaggiando quasi filologicamente (ma anche con palpabile amore e passione) un'intera scena musicale, a partire dal nome, che sembra tributare Mike Kinsella e soci, fino alla copertina che richiama inequivocabilmente Transatlanticism dei Death Cab for Cutie. Pronti, partenza, rullata di batteria e subito le chitarre mettono le cose in chiaro stilettando volteggi math alla Tiny Moving Parts. I ritmi post-hardcore accompagnano l'attitudine splenetica del midwest emo e poi, tra topoi e calchi del genere ("devo andare via, dobbiamo andare via da qui"), i cinque alzano la posta in gioco con meditazioni dostoevskiane sulle barriere della vita sociale fino a una dimensione ultra-esistenzialista ("a un milione di chilometri, cosa penserà di noi Gesù Cristo?"). Il disco suona convincente e coinvolgente, salvo il rischio incappare in qualche potage citazionistico, da cui, alla fine poi, a fare la voce grossa è la genuinità senza fronzoli della bellissima Distanze.
3 | Soft Boys Club - Prendersi cura

Dopo diversi singoli, i milanesi Soft Boys Club, vittime di una controversa vicenda con l'intelligenza artificiale, pubblicano il loro primo album con Futura Dischi. Prendersi cura è un curioso ircocervo stilistico che, su un substrato pop punk, si diletta nello sperimentare prestiti eterocliti. Il massico ricorso ad autotune richiama a margine le soluzioni sperimentate da Lil Aaron su campionamenti emo come in Drugs, mentre la base synthpop di Flop sembra fare il verso a classici 80s come Enola Gay. L'impronta è sì emo, ma la vocazione è chiaramente cantautoriale, come nelle ripetute metafore calcistiche (si parla dei crack Cirio e Parmalat e in Zidane si sente persino la voce di Pizzul che annuncia la sconfitta dell'Italia nella finale del '98) che dovrebbero veicolare metaforicamente uno stato d'animo logorato da speranze infrante. L'indubbia creatività eclettica trova tuttavia una decisa messa a fuoco in Pavlov, banger a tutti gli effetti (ndr. e brano preferito dal sottoscritto, al netto di alcune reminiscenze tommasoparadisiane: "la mia tachicardia è quasi sempre causa tua"). A prescindere dalla soggettività dei gusti, il disco ha un'identità precisa e qualcosa da dire nella scena.
4 | Renàra - Come Sbagliare di Meno

Avevano già debuttato con un disco eponimo nel 2020, ma recentemente i quattro di Massa (al cui interno gravitano membri dei Do Nascimento, Son e June Miller) sono tornati nell'agone con un secondo EP rilasciato con Marsiglia Records. Anche qui, come nelle altre uscite approfondite in questa sede, la prima cosa che viene a riceverci a braccia aperte sono gli svolazzi chitarristici math (come se si volesse fugare immediatamente ogni dubbio) e introdurre un cantato che richiama senza scampo alla mente band come i Citizen. Strepiti emocore per raccontare rimorsi e non detti, frasi da graffitare sui muri ("Prenderò una laurea in fallimento e tu ci sarai tra i ringraziamenti"), tra afflizioni screamo (segnaliamo il feat. con Øjne in Machete dall'arpeggio molto Death Cab for Cuties) ed escalation emotive alla Quercia (Nuvolone), fino alla gloriosa chiusura di Colorare/Ritagliare con le sue percussioni frenetiche alla Cap n' Jazz e cori alla Gazebo Penguins. Il disco probabilmente non ha la pretesa di indicare alla scena una nuova via di fuga dalle strettoie di un genere, ma suona decisamente compatto, maturo e, soprattutto, bene (e scusateci se è poco).
5 | reemo - Onda Verde

Esordio anche per i reemo di Roma Sud (come tiene a precisare la stessa band, che sulla geolocalizzazione delle strade capitoline ha costruito tutta una sua mitologia). Onda Verde si apre con uno spoken words alla Merchant Ships, o And So Your Life is Ruined, sempre per restare nei confini nazionali, ma subito ci spiazza catapultandoci tra chitarre jangle e intriganti linee di basso alla The Smiths. Il ricercato temperamento nostalgico trova un apice in Soffitti sconosciuti (ndr. forse il pezzo più notevole del disco), dove lo storytelling sfocia in una sorta di ranting liceale contro la banalità delle nozioni preconfezionate ("durante le lezioni di filosofia ho sempre pensato che Zenone fosse un coglione") prima di risolversi in schitarrate indie lo-fi. Al netto di qualche hook a presa diretta simil-Voina ("sei bella come Misty o un fantasma di Lavandonia"; "non so farmi del male, piove, ma non abbastanza per farmi affogare"), il disco fa centro nel suo intento e adesso mi ritrovo a far cadere lacrime sulle foto del viaggio in quarto superiore sul mio vecchio Walkman Sony Eriksson.