Autumn feels, Shoegaze vibes

Autumn feels, Shoegaze vibes

In autunno la luce si attenua e i colori sfumano, degradando dal giallo verso l'arancione fino a perdere le nette delimitazioni delle altre stagioni, un po' come le sonorità dello shoegaze che si sfaldano e si disperdono invadendo qualsiasi confine imposto dai mix in un maelström emotivo. Il tempo scorre, il freddo e la fine dell'anno si approssima, siamo tutti invitati a ripiegarci introspettivamente su noi stessi e sul cammino percorso. Quale migliore modo per farlo se non con le uscite shoegaze di questa stagione? Qui una breve rassegna:


I'm the Villain

This Joyful Nostalgia

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È uscito la scorsa settimana per Sputnik Music l'album d'esordio di I'm the Villain, progetto solista del salernitano Gianmario Galano. Il disco ci ha colpito in particolare per la cura meticolosa nella costruzione dei pattern sonori, mostrando attraverso continui riferimenti (spesso anche piuttosto colti e raffinati) tanto una conoscenza enciclopedica del genere tutto, quanto una capacità creativa nel saper riassemblare il risultato conferendogli un senso e una direzione precisa. Una versione italiana, che potremmo definire più chill e delicatamente presa bene (e quindi, per certi versi, italiana) dei Beach House. Abbiamo scambiato qualche battuta sul suo ultimo lavoro con l'artista stesso:


Questo album d’esordio sembra un concentrato di vibes retromaniache. Ci si può sentire di tutto dagli Slowdive ai Cure, dai Beach House ai Lotus Eaters. Qual era la mission del disco? Che tipo di corde emotive o pubblico volevi toccare?

La mission del disco è innanzitutto sul  piano personale, come fotografia di un momento creativo e artistico caratterizzato da particolare ispirazione e voglia di fare musica. Da un punto di vista stilistico credo che sia un po’ una messa a fuoco più precisa di quanto sperimentato nell’ep e nei singoli precedenti. Partendo genericamente dal territorio dreamy-gaze-synthpop che mi appartiene ho provato ad esplorare un po’ tutti i territori confinanti, così da ampliare le soluzioni sonore cercando di mantenere però coerenza e identità.

Spostandoci su un piano più tecnico, la texture sonora è particolarmente ricercata e non sembra mai scadere in sonorità casuali. A che tipo di strumentazione ed effettistica specifiche sei voluto ricorrere e cosa ti ha guidato nella scelta?

Pur confessando il massiccio uso di plugin, con buona pace dei feticisti del vintage, larga parte del mio setup è accomunata dal marchio Roland. Le 808 e 909 come drum machines, il mitico Roland Juno per i pad e gli arpeggiatori, il Roland Jazz chorus per le chitarre, il Roland Space echo con quale “bagno” un po’ tutto, dalle voci alle drum machines. 

Un aspetto che ci ha particolarmente colpito è l’abbinamento del sound alle visuals, a partire dagli artworks che sembrano coniugare gli intenti chill dello shoegaze e del dreampop con contaminazioni trippy, che potrebbero strizzare persino l’occhio – oserei dire – alla vaporwave (!). Quanto è ricercata e voluta questa versatilità?

Non è una contaminazione voluta ma frutto di una “sinestesia”  che ho percepito sempre molto forte tra la mia musica e un certo tipo di sperimentazione visual. Quando ho intercettato su Instagram le foto di Mia Bloombecker (fotografa che ha realizzato lo scatto dell’artwork) e i suoi lavori con doppia e tripla esposizione ho sentito immediatamente che fosse un po’ come “vedere” i miei brani.

A Million Chances potrebbe sembrare una Sfiorivano le Viole coverizzata dai Cigarettes after Sex; in A Fire in the Desert si percepisce nella voce e nello strumming un profondo studio dell’alternative e del gaze britannico di fine anni ’90. Quali sono stati in questo senso i tuoi riferimenti culturali più importanti a cui sei ancora legato per la scrittura e in cosa potrebbero incidere, a tuo avviso, nella musica di questo periodo storico?

Impazzisco pensando al feat tra Rino Gaetano e i Cigarettes after sex e devo dire che ci sta tutto. Per rispondere alla domanda gli anni 90’ sono il mio decennio musicale preferito, ho vissuto nei 90 la mia infanzia e prima adolescenza e ho assorbito come una spugna tanta musica di quegli anni. Credo che mi abbiano influenzato tanto in termini di songwriting perché c’erano tanti artisti in grado di mettere assieme talento, sperimentazione e successo commerciale. Band come Radiohead, Smashing Pumpkins, Nirvana, Pulp, Blur (e potrei citarne altre 1000) scrivevano pop songs e scalavano classifiche con strofa-ritornello-bridge senza sembrare mai intenzionalmente “commerciali”. È per questa influenza che i miei brani hanno questa matrice pop, sebbene credo che oggi artisti di quel livello non ce ne siano più. 

Salvana

Reversia

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I catalani Salvana sono tra le proposte più retrospettive e al tempo stesso fresche dell'ultimo anno. Già dall'omonimo album di debutto nel 2022 si erano inseriti a pieno titolo nel solco più revival del gaze anni '90, sulla scia di band europee come gli Slow Crush e i Pia Fraus. Distorsioni che si disperdono nell'aere fino a perdere i contorni e improvvise armonie di melliflua brillantezza che ricordano i Lush. Il sophomore registrato a Granada (Estudios La Mina) e rilasciato per la spagnola Intromúsica non si distinguerà forse per un approccio particolarmente innovativo al genere e gli stessi non addetti ai lavori potranno facilmente scorgerci le più note formule stilistiche care al genere, tra feedback, riverberi lunghissimi che suonano come corde di violino e voci cantilenate processate quasi da un satellite lontano nello spazio (la voce di Laura Nuñez in molte tracce rischia seriamente di esser confusa per quella di Miki Berenyi). Mai come in questi casi la discriminante è il pubblico di riferimento, e ciò vale ancor di più per le sonorità gaze, concepite tradizionalmente per una ristretta cerchia di aficionados che amano crogiolarsi in vibes sempre simili, ma mai uguali a sè stesse. Forse, almeno sul fronte shoegaze latino, si percepirà meno voglia di mescolare le acque rispetto all'ultimo album dei terraplana, ad esempio, e si finirà col dire che Aquazul poteva tranquillamente uscire da un Souvlaki e Desierta da un qualsiasi album americano post-2000. Forse avrete ragione, ma vi sembra poco?


Six Impossible Things

Nevermore / Eight and a Half

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Immancabili in questa rassegna autunnale (anche solo per il programmatico verso: "December tends to be so cruel") i Six Impossible Things, che anticipano il nuovo album, in uscita con Dear Gear Records, con due singoli. Due capitoli che si incastrano bene tra di loro e sembrano fluire da un medesimo momento o stato d'animo. Racconta Lorenzo (ndr. chitarra e voce) come questi brani presero forma nel periodo di reclusione pandemica e, del resto, se quel "locked in this house" non può lasciar margine di dubbio, sfociando nel biografismo, la sensazione costante è quella di uno scorrere del tempo fuori dal proprio controllo e di una presa di coscienza della propria fragilità. Il tono è in entrambi i casi, si intende, particolarmente emotivo, tendente quasi al mellifluo, sicuramente coerente anche con la loro produzione precedente. Stilisticamente, la strada preannunciata da questo double-side sembra confermare quella wave dreampop che, almeno in Italia, ha visto il quartetto lodigiano già lasciare impronte di una certa qualità, a parimerito con i Glazyhaze di Just Fade Away, e che prende le mosse, a livello più internazionale, dalle tinte retrò dei Wolf Alice e dalla scrittura cameristica di una Ethel Cain. Il tutto si traduce in pad vaporosi, qualche trillo intrusivo di pianoforte, arpeggi squillanti e delicatissimi di chitarra che inondando di riverbero la stanza, e voci che si sussurrano a vicenda come in una scena d'addio in un film drammatico. Calzano talmente a pennello con il loro periodo di uscita (possiamo parlare di capolavoro di distribuzione) che si potrebbero etichettare quasi come "musica stagionale".


I Ventured Across the Stream

Spazi Chiusi

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Non prettamente sul genere (sebbene l'abbia scoperto nella sempiterna playlist New Shoegaze from Italy), ma si presta particolarmente bene a vibes autunnali il nuovo singolo del quintetto campano-lucano degli I Ventured Across the Stream, rilasciato a inizio ottobre con Pan Music Records. Arpeggi decadenti dal retrogusto un po' folk, voci in deliquio e accensioni distorte. Ci ha raccontato qualcosa di più sul brano la cantante Fabiana:

Spazi chiusi è stato scritto nel 2023, in un mio momento un po’ cupo. Scrivere musica è il modo migliore che conosco di mettere i pensieri in fila e dire a me stessa cose che non so ancora affrontare. Al tempo mi sentivo isolata, e sapevo che quel vuoto che sentivo intorno, il "deserto" della canzone, me lo creavo da sola, non aprendomi veramente agli altri. Ricordo una persona a cui volevo molto bene che mi suggeriva di sedermi al tavolo della cucina quando qualcosa non andava, pur non sapendo cosa dire; anni dopo ho capito che il suggerimento di espormi sostanzialmente al via vai familiare stava a significare “non isolarti, non perdere il contatto con gli altri, anche se non vuoi parlarci adesso”. Il brano parla soprattutto di questo, del sentirsi isolati, confinati dentro di sé. Gli spazi chiusi sono le proprie dipendenze, i propri "cani che si mordono la coda”. In origine era un pezzo piano e voce, poi con la band si è trattato di arrangiarlo, rifacendoci alle sonorità aperte e polverose del desert rock, come quello degli All Them Witches, e al post rock. Forse è il nostro pezzo più intimo, in cui ci esponiamo di più, e anche per questo lo abbiamo scelto come ultimo singolo. Entro fine anno rilasceremo un Ep che raccoglie i singoli usciti negli ultimi due anni più qualche inedito.

Vera Slö

Noiadrama

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A distanza di sei mesi dall'ultimo (posticipato e sofferto) ep dei Vera Slö, esce un nuovo singolo per la collab Kosmica Dischi e MiaCameretta Records. Ci ha parlato direttamente del brano e dei futuri programmi della band la cantante e bassista, Simona:

Avevamo tentato in rêverie (ndr. ultimo Ep) una via più sperimentale rispetto al nostro solito, aprendoci al dreampop o al grunge con costruzioni più dilatate e complesse. Per questi due nuovi singoli (ndr. noiadrama e l'altro, in uscita a novembre) abbiamo pensato invece di tornare un po' all'immediatezza e densità di astratta, fatta eccezione per la coda finale, per la quale abbiamo pescato un po' nel carnier delle nostre influenze psichedeliche. Adesso porteremo un po' in giro sia i due nuovi singoli che l'ultimo Ep, per il quale abbiamo potuto far poca promozione a causa delle varie posticipazioni incorse. Una fitta scaletta che suoneremo già a partire dal 2 novembre al Largo Venue in apertura ai Mass of Fermenting Dregs.