Barkee Bay - Backpackers

Barkee Bay - Backpackers

Backpacker è il primo full lenght del trio bresciano Barkee Bay dopo i due EP d'esordio (Shoefiti e Shoefiti 2), rilasciato il 30 maggio per Undamento/Planeta. Il disco è intriso, parole loro, di libertà e attitudine DIY. Al nostro ascolto, le 11 tracce che compongono la setlist sembrano un distillato di power-bedroom pop a base di synth casalinghi e tenui chitarre indie, e un animo punk (quasi, oserei dire, garage) a base di cazzimma post-adolescenziale. Una scaletta che si regge sull'energia dei teenage years, sgangherata e vibrante, alimentata in forma di ricordo e sorretta dallo scintillio melodico di pezzi come Wild o DIY. Per entrare più nel merito, abbiamo intervistato personalmente i tre autori.


Partiamo dal titolo, Viaggiatori da zaino in spalla, che detta già un ritmo, passatemi il termine, di randagismo esistenziale, coerente con “l’essere wild, cresciuti pieni di guai”, presente un po’ in tutto il disco. Quanto c’è di autobiografico e quanto di metaforico in queste immagini? Vi darebbe più fastidio “se un giorno nessuno chiederà di voi” o essere improvvisamente notati dagli stessi che prima snobbavano “i ragazzi della baia”?


Raccontiamo semplicemente quello che viviamo e l’unico tratto considerato metaforico potrebbe riassumersi nel nostro filtro personale di vedere le cose. Forse è proprio qui che si posiziona la nostra visione artistica, nella linea sottile tra ciò che viviamo e come lo filtriamo. Per quanto riguarda la seconda domanda, penso che per nessuno di noi sia un problema essere ricordati o meno, anche se a volte non possiamo fare a meno di chiedercelo. Poi, nessuno di noi apprezza lo snobbismo ma se qualcuno si ricrede e inizia a capirci ben venga.

A livello più strettamente musicale, sono passati 2 anni da Shoefiti 2, cosa avete ascoltato in questo periodo? In che direzione hanno virato le vostre inclinazioni stilistiche? Sentite che la formula che avete messo a punto in questo disco rispecchi maggiormente le vostre idee rispetto al passato?


Ognuno di noi ha spaziato coi suoi ascolti: The Hellp, Royel Otis, Still Woozy... Ma ogni tappa , come per questo disco, è più dettata dal periodo e da come viviamo. Le influenze e le references vengono poi. Questo disco ha centrato questa nostra fase. Abbiamo semplicemente cercato di affinare il nostro sound, con più esperienza. Renderlo omogeneo, diverso e rappresentare ognuno di noi. Alla fine più che un reinventarsi ogni volta è un’evoluzione.

Quanto è durata la scrittura dell’album e come si è svolta la sua produzione?


La produzione in totale circa due anni. Sembra molto tempo, ma le fasi sono state tante e diversificate. Siamo partiti da una prima fase di ricerca, abbiamo ascoltato tanto ed ognuno ha detto la sua, su cosa voleva aggiungere rispetto a ciò che era venuto prima. Con queste reference in mente abbiamo scritto tante demo, alcune insieme ed altre con Giulio che portava i pezzi chitarra voce, Tarra che dava l’idea di produzione che sentiva più adatta aggiungendo drums e synth e Gabri che registrava le chitarre (elemento fondamentale del nostro sound) e aiutava con la post produzione dando anche lui il suo gusto. La cosa bella è che da queste 20 demo circa ne abbiamo selezionate solo 5 o 6, quelle che ci sembravano più centrate ed omogenee nel sound che volevamo portare, sulla scia di questi pezzi abbiamo quindi scritto il resto dell’album che pian piano si stava sembra più delineando verso un sound definito.

Ray Bradbury in un romanzo del ’62 realizzò quella che, a mio avviso, la perfetta epitome dei 13 anni: una porta socchiusa tra un’età magica (o che almeno siamo noi a idealizzare successivamente come tale) e un’età dolorosa di prese di coscienza. Un passaggio liminale particolarmente delicato: l’identità non è ancora formata, la curiosità e l’inquietudine la fanno da padrona. Queste tematiche tornano spesso in questo album, ma erano già presenti in Shoefiti (penso a Grandi). Perché questa tematica vi è tanto cara? Come avete vissuto quella fase di vita a livello personale?


Perchè a 13 anni ti puoi permettere di perdere tempo, senza la paure di sentirsi in ritardo. Le domande esistenziali, paure e pensieri sul futuro non convivono con l’ansia che caratterizza la “vita dei grandi”. Ancora non si conosce per davvero la crudezza della vita, e ci si può effettivamente permettere di essere più spensierati e spesso godersi di più i momenti. A 13 anni passavamo il pomeriggio intero seduti su un muretto a parlare di tutto e di niente. Poi cresci e ti dicono: "Devi essere pragmatico, devi pensare al futuro, devi essere concentrato" E piano piano costruisci dei muri. Il tempo diventa limitato. Muri per proteggerti, per sembrare forte, e che alla fine ti tengono lontano da tutto quello che conta davvero. E ci piace ricordarci così come quando avevamo 13 anni con le gambe a penzoloni sopra quel muretto.

Una domanda scomoda: cosa incarna meglio “tutta la merda che c’è in giro” e per la quale you don’t give a f***?


Incarna tante cose, per alcuni versi è rivolto direttamente ad alcune persone, senza rancore a dire il vero. In quel momento in particolare era uno sfogo nei confronti del nostro ex manager, conclusa una discussione che ci aveva portato su binari diversi. Mentre altre volte parliamo di compromessi, industria e pregiudizi; vogliamo essere liberi di fare ciò che ci piace, e per poterlo fare al meglio a volte bisogna fregarsene completamente di tutto e tutti.

Per gossippare un po’ e dare qualche speranza agli irriducibili nostalgici: quando cantate battistianamente Ancora tu, vi rivolgete fattualmente a una ragazza che è tornata o è tutto un discorso simbolico?


Racconta della prima storia d’amore importante per me (Giulio), durata 4 anni. Ci eravamo rivisti casualmente dopo un anno dalla rottura a un concerto, avevamo provato tanta connessione nel rivederci e abbiamo passato la notte fuori nel cesto di un parco giochi per bambini a raccontarci di noi. In ogni caso sapevamo entrambi che ci stavamo facendo del male.

Quanti “chilometri avete percorso per portare il vostro sound”? Avete mai avuto la tentazione di mollare quando si faceva dura? E, a tal proposito, che programmi avete per l’imminente futuro? Girerete col vostro nuovo disco?


I chilometri non li abbiamo contati ma di certo non sono pochi quelli che abbiamo percorso su e giù per l’Italia negli ultimi anni. Selezionare i concerti più significativi però è difficile, sicuramente il primissimo al Carmen Town a Brescia è stato emozionante per tutti, ma anche i primi palchi più grossi, come il Mi Ami e
l’Oltre Festival. Si può dire che l’esperienza più significativa è stata il primo tour nel suo complesso, che oltre averci regalato storie da raccontare ci ha reso più uniti e ci ha insegnato tante cose anche sul lato musicale. Nessuno di noi ha mai avuto la tentazione di mollare, per noi fare musica è un bisogno al quale non possiamo non cedere. Ovviamente nella vita ci sono alti e bassi ma quando uno di noi si trova in
difficoltà ce ne sono sempre due pronti a dare una mano. Il programma per quest’estate è quello di portare in giro il nostro concerto (alcune tappe le abbiamo già annunciate), e nel frattempo lasciarci ispirare per metterci al lavoro sui prossimi pezzi.

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