Cinque sfumature di punk

Cinque sfumature di punk

Un vecchio saggio diceva: "a volte l’età matura ci fa sembrare saggi, ma in realtà ci rende solo più creativi nel fare cazzate". Ora, io non mi sento propriamente von Trier nel concepire meccanismi di auto-flagellazione, ma a questo giro penso di aver esagerato e, dopo 14 anni di orgogliosa resistenza, sono tornato a vedere la prima serata del festival di Sanremo. "Perchè porre fine a una così tenace opera di sabotaggio?", direte voi. Curiosità nel misurare la temperatura dell'industria musicale italiana? velleità di nonnismo? una scusa per una serata con gli amici dei tempi del liceo? o forse, molto più mestamente, l'amara presa di coscienza che non esiste argine che tenga a questo tsunami globale di decadenza da fine impero dell'Occidente? La prevedibilità dello spettacolo (musicale, mi tacerò sul resto) che mi si è parata dinanzi agli occhi non stimola particolari discussioni: qualche teorico la definirebbe la banalità del male mainstream. Se non altro la serata è servita a ricordarmi che sepolta, tra gli anfratti del piattume, giace una vegetazione più variegata. Prendete a caso una playlist emo-punk, vi sorprenderete nel trovarne declinazioni tra loro diverse già solo in cinque recenti uscite italiane.


1 | Flashbangerz - Easier

Il prologo di chitarra in palm muting summersiano e la voce accorata esalano subito emo punk, ma non tanto con immediato (e forse scontato) riferimento ai Sunny Day Real Estate, quanto alla più recente e meno nota scena northwest emo. Mi riferisco a quel collettivo di spola tra Seattle e Portland in capo a band come Winterforever: meno math, più delicatezza negli arpeggi; meno ronzii dissonanti, più distorsioni che tendono ad armonizzare con le voci. Esordire con un singolo che rappresenta in sostanza "a wound that won't close" è già tutto un programma: urgenza espressiva o ammiccamento ai topoi del genere? l'intensità del cantato e dei versi convincono facilmente della loro autenticità, anche perchè poi, in fin dei conti, si rivelano talmente relatable che tendi anche a fregartene: chi non ha mai avuto un "settembre sanguinante?". Poi però mi sono chiesto: perchè in inglese? mascheramento di intenzioni o semplicemente miglior presa con le sonorità? e dopo tutte queste domande ho realizzato solo di non esser più capace a prendere le cose "easier". La vita ci massacra ogni giorno, ma dovremmo trovare sempre la scintilla per tornare a essere "willing to love", nonostante tutto. Magari l'ascolto del singolo d'esordio di questa band milanese può aiutare.


2 | Aurevoir Sofia - COPIEDICOPIE

Il riffone low tuning costringe all'headbanging dal primo secondo d'ascolto, ma è l'entrata in scena della batteria che inizia a farmi scricchiolare le costole malgrado sia solo in casa e non sia stato investito da nessun metalhead taurino (ahh, la memoria muscolare). Il cocktail di inglese, francese e italiano scende giù bene, ma alla fine della fiera l'ingrediente che determina l'ebrezza è la cit., tanto chiamata quanto geniale, di Nicola de Martino (pazzesco che nessuno abbia mai pensato prima di dedicarla a queste sonorità, è la morte civile). I cinque di Cinisello Balsamo si erano già presentati nel 2020 con un album che tendeva generalmente a picchiare più duro sul pedale riot, venendo talvolta etichettati anche con quella categoria-ombrello che è il 'post-hardcore'. Personalmente la veemenza con cui denunciano in questo singolo il problema della omologazione/massificazione dei nostri giorni mi ha ricordato la foga sbarazzina di alcuni pezzi degli Zebrahead. Sono "abituati a partire dal fondo", proprio come la loro musica di riferimento che storicamente, almeno in Italia, ha avuto pochi momenti di emersione dall'underground più stretto (i casi più recenti che mi vengono alla mente, pur con declinazioni molto diverse, sono i Golpe e i Radura), e "sono i migliori ad arrivare secondi". Però ecco, non sempre arrivare secondi significa essere sconfitti.


3 | Millennial Daze - Might Be Easier

È sempre difficile capire le ragioni e la tettonica culturale che determinano ciclicamente il ritorno in auge di una determinata tendenza dopo anni di oblio. E così il pop punk dei Sum 41, una partita in apparenza chiusasi definitivamente all'alba degli anni '10, torna a mettere prepotentemente i piedi sulla cattedra, oltreoceano già da qualche anno, oggi in Italia in versione ancora più radio friendly con band come le Bambole di Pezza. I Millennial Daze si muovono sulla scena dal 2020, mettendo in campo scelte più radicali e retrospettive e, proprio per questo, per certi versi più coraggiose, ma forse è solo con i singoli degli ultimi anni e il ritorno di fiamma del genere che il trio novarese inizia a raccogliere i frutti della loro coerenza. Might be easier è un credibile anthem californiano. Niente di cervellotico o trascendentalmente innovativo, gli hooks traboccano e al "because maybee" dopo 10 secondi mi verrebbe da cantare altro, ma se non altro il pezzo viaggia bene e svecchia l'eredità blinkiana attraverso innesti elettronici, qualche sezione acustica e una produzione vocale attentamente polished. Grintosa, ma garbata.


4 | cólgate - asteria

La seduta di mesmerizzazione nell'intro dreamy di asteria, singolo di debutto con La Tempesta Dischi per il quartetto veneto, è forse la sezione più determinante del pezzo: arpeggi un po' Smashing Pumpkins, suoni planetari in sottofondo e cori serafici che danno accesso facilitato alla quinta dimensione. "Magari aspettiamo l’inizio o qualcosa di così incredibile da farci uscire"; a me intanto, per inciso, basta restare in camera a sentire il nuovo singolo dei cólgate per trasecolare alla spiazzante somiglianza tra il timbro vocale della cantante e quello dei Gomma. Boutade a parte, lo strumming acustico delle strofe si alterna con le spinte distorte dei refrain un po' alla Cranberries, sottofondi di una narrazione sui bivi e le svolte della vita. Certo, l'espressione è nel complesso legittimamente un po' woke (non nell'accezione politica, per carità), ma la maturità artistica già si scorge in questa ballad sognante, a tratti svenevole, a tratti risoluta. Che poi le esperienze giovanili il più delle volte sono universali e intuiscono verità che spesso vengono perse nel corso degli anni: "Odio questo mondo rotondo e tutto quello che fa, vorrei starmene un poco da sola, ma senza raglie che si fa?".


5 | THE LYES - The Sea

Le considerazioni sul comeback pop-punk degli ultimi anni si riflettono in maniera quasi palmare anche per il power trio trevigiano che sembra chiarire le intenzioni già a partire dalla copertina del nuovo disco (in uscita il 28 marzo), praticamente una variante psych di Uno...Dos...Tré! dei Green Day. The Sea palesa chiaramente contaminazioni più garage nella grana fuzzosa e sferragliante delle chitarre, nella sguaiatezza dei versi e, volendo, anche in passaggi ritmici un po' surf, salvo non perdere mai di vista l'attenta cura nell'aspetto melodico, fattore che lo rende un prodotto al tempo stesso tanto power pop quanto congenitamente italiano. Il brano parla di sogni, di mare e di libertà dal daily hustle, tutto denocciolato con una verve genuinamente naif. In musica la geografia solitamente è importante, ma non è tutto: qui, ad esempio, il sound ti teletrasporta automaticamente sul litorale di San Diego, ma siamo nell'entroterra veneto, a due passi da Luca Zaia.


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