Siamo figli di Val Kilmer

Siamo figli di Val Kilmer

Iniziamo subito col pararci il culo e premettere un'opinione ormai da tempo sdoganata: il film di Oliver Stone del 1991 sta ai Doors come Nuovo Contrordine Mondiale di Povia sta alla realtà delle cose. Eppure, quella che in stretti termini cinematografici poteva tranquillamente venir bollata come pecionata, si è rivelata a posteriori una pellicola importante, se non fondamentale per la generazione millennial, quella degli anni '90, quella che, in altre parole, non fece in tempo a vederla in sala alla sua uscita. Ne parlavo tempo fa, con sguardo vitreo e sensi annebbiati davanti a una decina di birre, con i miei accoliti Dante e Andrea. Tutti e tre reduci da questa visione intorno ai 14 anni, un'età in cui era impossibile avere piena consapevolezza del porcaio che il film proponeva sullo schermo e in cui, se avevi qualche sinapsi fuori posto, poteva persino impollinarti il cerebro di germi dalla sintomatologia impronosticabile. Data per scontata la statura del tutto ordinaria delle nostre menti già al tempo (per quanto il sottoscritto si atteggiasse a giovane Baudelaire incompreso), ne possiamo dedurre che per la nostra leva quel film fu essenzialmente un insegnamento che ancora oggi ci accompagna: la musica non è, e non deve essere, solo musica.

Al tempo conoscevo Light my Fire, Break on Through, Riders on the Storm; ascolti passivi di frequenze che arrivavano dalla camera di zio, ma chi fossero realmente i Doors, non lo sapevo. Il film del '91 è un affresco espressionista, per essere garbati, è la saturazione dei clichè di un'epoca, è in sintesi, come dissero gli stessi superstiti della band, la proiezione dei sogni da rockstar di Stone. Insomma, non il modo migliore per farsi una prima idea sul loro background. C'è un aspetto però che la pellicola restituisce bene: le idee prima delle canzoni; il fatto che la musica fosse un medium per trasmettere l'urgenza espressiva e veicolare la rivoluzione, culturale o sociale che sia; che i concerti non fossero solo show, ma esperienze catartiche comunitarie e al tempo stesso individuali, da vivere insieme hic et nunc senza alcun esibizionismo post-moderno; che esista solitudine ed emarginazione anche dietro il successo economico. Noi tre lo apprendevamo in un momento storico in cui lo showbiz aveva già irrimediabilmente consolidato le sue regole e gli artisti non riuscivano più a ripulirsi da quella droga patinata chiamata strategia di marketing. Tutto ciò che, fondamentalmente, Jim e compagni avevano cercato a modo loro di rifuggire come il diavolo con l'acquasanta.

Poi certo, l'intera narrazione del film è uno specchio deformato e Stone descrive gli anni '60 con lo sguardo di un vicequestore salviniano, ma come puntare il dito contro la dedizione alla causa di quel clamoroso cast? Val Kilmer ci ha lasciato la scorsa settimana e la sua interpretazione di Morrison rimane ancora oggi, almeno a mio avviso, tra le performance più memorabili nella storia delle biopic. Come disse Cantelli, Val catturò l'epitome della "star che crea distruggendo sè stessa". Quanta profondità nel Jim umano, quello fuori dal palco, frustrato da un pubblico che bramava il suo membro e non le sue poesie, quello con un esercito di soldatini al suo comando e neanche una persona in grado di interessarsi realmente alla sua oscurità. E quanta modernità in nuce nei Doors (quelli reali), a dimostrazione di quanto conti più il come che il cosa suoni, che alla fine sia una questione di attitudine, che si può essere punk pur suonando blues, che si può prefigurare addirittura il post-punk pur mescolando jazz e cultura indiana, che si può diventare un fenomeno di tendenza anche richiamandosi alla tragedia greca (provate a farlo oggi senza sembrare dei nerd).

I tre Doors rimanenti si sono sempre opposti al film di Stone, lo definivano "il veleno", contrapponendogli l'antidoto, il documentario When You're Strange di DiCillo. E a proposito del docufilm e di attitudine, in chiusura, mi piace ricordare questa intervista di Robbie e Ray al Pistoia Blues del 2011. "Chi sono oggi i Doors?", chiede l'intervistatore. Un Krieger dalle coordinate spazio-temporali evidentemente un po' sfasate risponde: "Echo & the Bunnymen", Manzarek sceglie i Chemical Brothers. Sussulto dell'intervistatore spiazzato: "ma non sono lo stesso genere...". Pronta risposta di Ray: "e allora?". Purtroppo la mia generazione non ha potuto abbeverarsi dalla fonte, ha un'esperienza per così dire mediata di questa astronave chiamata The Doors, atterrata per caso sulla Terra e che ancora oggi spaventa per la sua modernità. E allora possiamo dirlo tranquillamente: siamo figli di Val Kilmer.