Cosmetic - Normale

Alternative, noise, shoegaze. Etichette, contenitori oggi obsoleti che non riescono più a delineare con precisione i confini di un genere. Quante produzioni "gaze" rilasciate negli ultimi anni hanno preferito texture lo-fi rispetto al più classico muro alla Kevin Shields? Quante voci vaporose, digitalizzate alla stregua di pad, abbiamo sentito? Quanta parte di questo filone è oggi votata a derive ambient piuttosto che all'oversharing? Non fraintendetemi: non voglio fare una filippica boomerona, ma solo una constatazione. Le peculiarità di quei dischi che ho amato in gioventù hanno fatto scuola, ma per forza di cose iniziano a suonare obsolete. Brandirli oggi contro la nuova wave suonerebbe come la repressione delle battaglie climatiche o di identità di genere perchè magari "ai miei tempi si contestava piuttosto [inserire battaglia sociale x]!", garantendomi il titolo di Catone o di Pillon (e il fatto che molti attuali governi si reggano su questa maggioranza di censori la dice lunga sull'obsolescenza degli standard europei). Questo hook masturbatorio comunque era solo per dire che la title track Normale, dall'ottavo album dei Cosmetic, parla proprio di questo.

Poste queste premesse, si potrebbe presumere che il disco abbia velleità progressiste o quantomeno innovatrici. Normale, al contrario, si richiama alle distorsioni tonde e crude, ai ritmi post-grunge, alle voci sgualcite del filone che si sono imposte sullo scenario internazionale dagli anni '10. In questo la band romagnola è coerente a sè stessa (il disco non segna una netta rottura coi precedenti), e si stabilizza su quella ricerca propagata oltreoceano da band come i Nothing. La questione è che il mercato italiano ha iniziato negli ultimi tempi ad aprirsi verso questo orizzonte di sonorità difformi dalla "norma" (e ora tendente a riversare nel mainstream) ma che, negli anni in cui i Cosmetic muovevano i primi passi, erano qui rappresentate da un ristretto manipolo di interpreti (di cui i nostri erano già degli alfieri). L'italiano medio, si sa, ha molto a cuore il "normale", laddove questo però talvolta sottenda contraddittoriamente costumatezza e conformismo. C'è chi accetta tacitamente questa affettazione, questa ipocrisia; i Cosmetic apparentemente no, se così deve intendersi quell'anti-patriottico "Pizza we avoid" di Specialità (metaforica sin dal titolo, si presume). E non sorprenda se in questo specchio deformato che è l'ultimo disco della band qualche buon italiano rinneghi la caricatura di sè. Del resto "sai che ognuno si pensa diverso" (Mattia il mostro).

L'album è breve, scorre via senza interruzioni, pur con intermezzi strumentali (una traccia tutta pad eterei e una Mildred Pierce nostrana), ma senza neanche troppi sussulti. Più slacker che punk, a tratti imperioso (la scanzonata estetica 90s di Rosa & Antrace è tra le loro migliori uscite recenti) ma quasi perennemente mid-tempo. Le ballad acustiche si accendono nelle code con le chitarre alla Dinosaur Jr e i singalong, come in Dal futuro. La patina è vagamente nostalgica, ma di una nostalgia presa bene (che un po' li ha sempre contraddistinti). Piacerà ai fan, ha spendibilità anche nel mercato odierno, disattenderà forse i palati più esigenti che aspettano un cambio di marcia ad ogni nuova uscita. Ma questo al limite sarà un problema loro.