Delta V, il nuovo album, musica contro l'indifferenza
Si intitola "In fatti ostili", il settimo album in studio dei Delta V. È uscito il 17 ottobre, a distanza di quasi sei anni dal precedente Heimat, il disco che ha segnato il loro ritorno sui radar del pubblico dopo una lunga interruzione dalla scena. Il marchio synthpop della band era già noto presso le frequenze italiane, stante anche una lunga carriera che affonda le radici nella Milano degli anni '90. Se da un punto di vista della produzione e della qualità negli arrangiamenti, dunque, il lavoro non stupisce, ciò che cattura l'attenzione è senz'altro la scrittura. Un'opera densa di messaggi e considerazioni, coi fari puntati sulla contemporaneità, che cerca di risvegliare le coscienze e smarcarsi dalle strettoie del mero radio friendly. Davanti a un repertorio così fitto di concetti, ci è sembrato opportuno dar voce agli stessi membri della band. Qui di seguito il nostro scambio:
Sono passati quasi sei anni dal vostro album precedente, come spiegate la lunga elaborazione di questo nuovo disco e qual è stato il processo di scrittura? Quale “obiettivo” vi eravate posti inizialmente in termini di messaggio e di pubblico per questa uscita e quali sono state le principali difficoltà nella sua realizzazione?
Carlo: Quando scrivi non ti poni mai un obiettivo, semmai cerchi di rendere il tuo pensiero intelleggibile alle altre persone. Scrivere i testi è un processo a volte faticoso che ti costringe ad organizzare la marea di appunti che ti sei preso nel corso del tempo e dargli una forma all'interno della musica. La difficoltá principale è quella di capire se quello che scrivi ti rappresenta in pieno. Sei anni è il tempo che ci é voluto per dare forma concreta a questi pensieri.
Mi è capitato di leggere in alcune vostre interviste precedenti che il vostro processo creativo è cambiato sensibilmente negli ultimi anni, partendo ora dal testo per poi arrivare alla musica. A cosa si deve questa urgenza espressiva e cosa ha determinato questo cambio di passo? La mia impressione è che soprattutto in questo disco la vostra scrittura sia diventata particolarmente narrativa, lasciando poco margine all’ evocatività un po’ indefinita che va per la maggiore nell’easy listening italiano: che tipo di approccio al racconto avete sperimentato?
Flavio: I tempi sono cambiati, il mondo è completamente diverso, noi siamo diversi. Quello che fai è diretta conseguenza di quello che ti circonda. Non si puó nascondere la testa sotto la sabbia in tempi come questi, una posizione va presa in qualsiasi cosa si faccia. Noi facciamo canzoni e usiamo le canzoni per dire quello che sentiamo.

A livello di composizione invece come pensate di essere evoluti musicalmente rispetto al precedente Heimat? Cosa avete ascoltato in questi anni e quali suggestioni hanno determinato la traiettoria di questa setlist?
Carlo: Negli anni "pre Heimat" partivamo dall musica e arrivavamo al testo che dipendeva dalle suggestioni che l'atmosfera musicale ti dava. Oggi è l'esatto opposto: il testo influenza la composizione musicale. Un rovesciamento di prospettiva. Ognuno di noi ascolta musica diversa ma l'influenza principale di questo disco ce l'ha data la realtá che ci circonda.
C’è un verso in San Babila ore 20(25) in cui si riflette sul fatto che se non combatti più è perché qualcuno l’ha già fatto al posto tuo”. Vi sentite un po’ testimoni di un “prima” che oggi non c’è più? Siete più inclini alla speranza o al disincanto? Riguardo invece la scena musicale, pensate che l’arte possa rappresentare concretamente in questo momento storico una forma di “obiezione di coscienza”, o il trend generale è di tenerla confinata a un gesto estetico fine a sé stesso?
Marti: Noi non siamo né nostalgici né "passatisti" . Il problema é che senza una coscienza storica non si può pensare ad un futuro. E dovremmo guardarci intorno un po' piú spesso. Oggi siamo distratti dai nostri problemi personali e facciamo fatica ad alzare la testa. L'arte è sempre stata il termometro di un'epoca e oggi i tempi sono complessi.....
In merito all’ultimo punto, “Nazisti dell’Illinois” lascia immaginare che il vostro pensiero a riguardo sia poco fiducioso. Voi che nella vostra carriera avete vissuto in prima persona il massiccio passaggio dall’analogico al digitale, come vivete il rapporto tra la vostra visione artistica e le logiche algoritmiche dello streaming? Quali sono gli aspetti che recuperereste della “vecchia industria” e quali salvereste della “nuova”?
Marti: La rete era una speranza di libertá espressiva di cui il sistema si è appropriato molto in fretta. Sappiamo tutti come é cambiato il modo di comporre, distribuire e "vendere" la musica. Spesso le opportunitá vengono tramutate in disastri. Anche l'industria discografica, che prima dettava i tempi e i modi, deve rincorrere l'algoritmo e questo è preoccupante. Credo che non bisogni recuperare vecchie cose, dovremmo ripensare il sistema in base alla situazione attuale, capirne i difetti ma anche le opportunitá. L'algoritmo in sè non è un mostro, è l'uso che se ne fa.
A livello personale, a quale aspetto della vostra impronta musicale e della vostra personalità artistica siete più legati, quello che non avete ancora cambiato e per il quale non sareste mai disposti a cambiare?
Flavio: La coerenza con noi stessi. I gusti musicali cambiano, le idee si evolvono, i mezzi tecnici ti consentono di fare cose diverse sempre piú facilmente. In tutti questi anni abbiamo attraversato ogni tipo di cambiamento, tecnologico, sociale, storico, ma lo abbiamo sempre affrontato con la consapevolezza che non ne saremmo mai stati stravolti come persone. Cerchiamo di conservare la nostra umanità.