Doglie Blu - hei, luce

Doglie Blu - hei, luce

Il nome ammicca al Sussidiario Illustrato, ma la visionarietà immaginativa dei versi e il sound indirizzato oltre i confini peninsulari trascendono quella post-adolescenza travagliata ma spiritosa e sprezzante che fu il debutto dei Baustelle. Hei, luce è un disco che per lunghi tratti gioca a carte scoperte (l'orgia ritmica e i ruggiti acidi di chitarra in Arriva l'alba sembrano estrapolati direttamente da Kid A dei Radiohead), per altri riesce a portare altrove l'ascoltatore senza spezzarne il mood o persino lasciare che se ne accorga (i campionamenti liquid drum & bass di Cosmogonia, in duetto con Samuele Cyma, li avrebbe potuti usare la Banda Osiris per un film di Garrone). Il primo EP di Doglie Blu, rilasciato con Kosmica Dischi, è una riflessione esistenzialista su macrotemi del reale: cos'è felice? cos'è triste? cos'è che sento? cos'è che provo davvero? c'è continuità tra bene e male? ci sarà un giudizio universale e una ridistribuzione di colpe e meriti? Niente di cervellotico o boriosamente intellettualoide, anzi, il tono degli interrogativi suggerisce un'innocenza intonsa piuttosto che un cinismo disilluso.

La produzione sonora è per lo più celebrativa, ma sempre elegante e coerente con la narrazione messa in campo. L'evidente impronta cantautorale della scrittura è debitrice, così come il cantato, dell'esperienza di Cristina Donà, di quelle melodie melliflue e abbacinanti da overdose di endorfina che contraddistinguevano il periodo Dove sei tu. Dopo l'intro radioheadiano, le visioni apocalittiche di God vs Tru_mp sembrano venir messe in discussione dal relativismo universale di Manichei. Ma a far la voce grossa nella setlist è però proprio Cosmogonia, un pezzo che non sfigurerebbe in una scaletta dei Delta V, un ciclo stellare come metafora di rinascita interiore, onirico e trippy senza diventare lezioso. Girotondo (già nel titolo un programma di loop morboso) è, come si disse della stessa Donà, PJ Harvey sotto pesante effetto di camomilla. È probabilmente il momento più trasparente del disco, una relazione giunta al termine e tenuta in vita controvoglia, un'esperienza personale di vita che evolve in riflessione universale:

"non volevo guardare quei bei fiori lì appassire, tenuti assieme contro il mio volere, sapevo sarebbero andati a morire”

Cosa dire in sintesi di questo album? il punto di forza è senz'altro il timbro caldo e suadente della cantautrice che, pur librandosi con carattere, non cede mai alla tentazione di strafare e prolungare/annacquare intuilmente i capitoli dell'album, apprezzabili proprio nella loro essenzialità. La confezione è un sound soffuso e vibrante, in equilibrio tra acustico e elettrico. Tornerò a ripetermi, dopo averne già parlato nella top 10 di aprile: musicalmente non è una Rivoluzione in Italia ma, sommersi come siamo da tanto divismo trash, tra pali da pole dance e ammiccamenti continui al pubblico, è commovente ritrovare un cantautorato (femminile, ma il discorso può tranquillamente essere esteso) a base di ricercatezza e buon gusto; meno provocazioni sterili, più rappresentazioni dei propri pensieri. Già, questa sì che sarebbe una rivoluzione.