Eddington è il vero affresco dell'America, con buona pace dei fan di P. T. Anderson
Non si salva letteralmente nessuno in questo Eddington, deliberatamente e a bella posta confusionario fino allo stordimento, quale metafora di un'America marasmatica e fuori controllo, dai disagi sociali ormai irriducibili a un solo movente o chiave di lettura. Il Paese è violento, connaturatamente e trasversalmente, e non prova ribrezzo nel ricorrere a pretesti per indorare la pillola prima di rivelarsi come tale. Una sferzata contro un solo obiettivo non è più satira, ma propaganda (Paul Thomas Anderson prenda appunti). Ari Aster, al contrario, non fa prigionieri: politici che strumentalizzano i personali drammi familiari facendo leva sull'emotività delle persone in ottica di consenso elettorale; gen Z social warriors che in delirio performativo ripetono urlano slogan superficiali come grammelot; circoli complottisti senza scrupoli che reclutano adepti tra le frangie più disagiate della nazione; boomer lobotomizzati dai social incapaci ormai di distinguere tra verità e manipolazione; attivisti antifa che architettano casus belli per far esplodere tumulti senza intenti concreti; una popolazione affetta da sindrome da vetrina che passa il tempo a filmare la propria vita da uno schermo del cellulare piuttosto che viverla.

Il feed di instagram ci viene proposto così spesso durante la proiezione che le scene urbane di contraltare sono quasi perennemente deserte. Le poche apparizioni umane che si palesano sono totalmente nevrotiche e su di giri. Le persone non dialogano, latrano una contro con l'altra quasi a muro. Lo sceriffo Cross, un grottesco Joaquin Phoenix, è il perfetto antidoto all'andersoniano Steven J. Lockjaw di Sean Penn: tanto macchiettistico e stereotipato il secondo, quanto credibile e complesso il primo, con tutto la costruzione del suo background che conduce al burn out finale. Lo sceriffo è il maschio bianco etero, vittima sentimentale di una moglie dalla stabilità psichica precaria (Emma Stone ha subito davvero abusi durante l'infanzia o è una sua invenzione?) manipolata da una madre complottarda e da santoni disagiati. Phoenix vuole candidarsi sindaco, ma non riesce a farsi rispettare da nessuno, prendendole persino da un senza tetto ubriacone in un bar (salvo venir filmato da un astante in un montaggio ad arte che testimonierebbe la "brutalità poliziesca")."Polizia violenta, polizia razzista", strepitano il centinaio di ragazzi del corteo Black Lives Matter contro gli unici tre agenti della cittadina, se non fosse che lo sceriffo sia il soggetto più inadatto al ruolo (ereditato del resto alla morte del padre, anch'egli capo della polizia) e nel trio ci sia un afroamericano ("non avevo mai pensato al suo colore prima di queste proteste", commenta beota il terzo collega wasp).

È un 2020 pandemico quello che Aster mette in scena. Ma non pandemico a causa del coronavirus, che pure rappresenta l'innesco della narrazione: lo sceriffo si erge a paladino delle libertà contro la tirannica imposizione della mascherina e la "dispotica" amministrazione del sindaco Garcia (e già l'idea che a capo del governo ci sia l'ispanico Pedro Pascal, con un presunto/fittizio passato di abuso verso la moglie di Phoenix, suggerisce un ribaltamento di leadership etnica). No, l'America di Aster è pandemica nel senso di slogan che si rincorrono e si ripetono fino a perdere di senso.
"Bisogna debianchizzare la società" (semicit.)
"ma sei ritardato?"
È più o meno la risposta del padre al figlio Brian, un ragazzino wasp che aderisce passivamente ai movimenti antifa per conoscere la ragazza biondina di cui è infatuato (una sorta di alter ego adolescente del recente Di Caprio versione drugo). La ragazza è la giovane borghese annoiata che gira con i libri di Angela Davis nella tote bag e ostenta il disprezzo per i soprusi della propria genealogia etnica, pur non ponendosi problemi nello sfruttare sentimentalmente il ragazzo ispanico (figlio del sindaco) per far ingelosire il poliziotto afro di cui è invaghita. Opportunismo presente comunque anche nell'altra sponda, con Emma Stone che sembra aderire ai QAnon più per idolatria del leader (di cui rimane incinta) che per vera convinzione ideologica.

Tra comicità grottesca alleniana e pulp straniante di marca più asteriana, la storia passa dall'essere un affresco corrosivo per tre quarti di film a quasi un classico finale di thrilling whodunit. Emblematico l'epilogo con il giovane Brian involontariamente elevatosi (e strumentalizzato come tale) a vessillo del Partito Repubblicano e con la realizzazione del mostruoso stabilimento data center, fiore all'occhiello dell'amministrazione Garcia e contestatissima dall'opposizione. Il fatto che a realizzarlo sia lo stesso neo-sindaco Phoenix, salvato a un centimetro dalla morte e reso ameba incapace di intendere e di volere, e dallo stesso finanziatore della campagna elettorale del predecessore, lascia un po' suggerirci all'orecchio come, a discapito di lotte di genere, di etnia e di generazione, la vera discriminante rimanga sempre fondamentalmente quella di classe. Era la satira nera di cui avevamo bisogno, la purga al pattume ideologico di Una Battaglia dopo l'Altra, la comicità libera e cattivista che non piega la testa davanti ai dogmi. Una comicità coeniana, se possibile, ancor più rassegnata e caustica di quella dei fratelli Coen stessi.
