Edna Frau - Slow, Be Gentle, I Am Virgin

Edna Frau - Slow, Be Gentle, I Am Virgin

Non è tanto una questione di negarti il beneficio del dubbio, è che non lascia proprio lo spazio di una frazione di secondo per lasciarti sospeso nell'attesa. Quel giro di basso morboso che inaugura i primi attimi del disco e si ripiega su sè stesso, trascinandoti in una spirale apparentemente senza epilogo, in quei labirinti psicotici a base di ritmi vertiginosi e feedback cupissimi, rimontano inequivocabilmente all'immaginario post-punk joydivisioniano. In realtà, la vena decadente e gli abissi più impenetrabili dell'essere umano fanno capolino (un po' ingannevoli) solo nell'opening, e già dalla seconda traccia della setlist il nuovo disco degli Edna Frau si dirotta su ambizioni danzerecce e darkwave da dancefloor. Il collettivo ravennate (composto dai membri di Postvorta e The Doormen) aveva già esordito nel 2021 con My Ego Is Bigger than Yours, un debutto che aveva subito messo in chiaro le intenzioni elettroniche e retrospettive-revivalistiche della band. Questo nuovo Slow, Be Gentle, I Am Virgin non segna una rottura col precedente, ma anzi rivendica sfrontatamente la strada tracciata.

La scaletta è quasi un sussidiario dei capitoli albionici del genere: See Me è una cavalcata anni '2000 alla Editors; la title track ammicca senza troppi scrupoli agli Interpol; Again approccia un sound meno opprimente e più sintetico; Day One ripropone qualche contaminazione gaze con chitarroni atmosferici alla Have a Nice Life (in parte già presenti nel primo album); l'epilogo è uno splendido sinth-pop funebre nel solco degli ultimi Depeche Mode. La produzione è di alta qualità e di respiro internazionale ma, insomma, non ricercate nell'album un'audace proposta sperimentalista o un sound che segni una deviazione rispetto alla tradizione dell'ultimo ventennio. La forza del disco sta nella sua coerenza all'integralismo dark: un prodotto-nostalgia per gli aficionados; un inchino (lezioso e con un po' di mestiere) di invito alle danze ai figli di Robert Smith.

Si dice che le bolle post-punk scoppino quasi sempre in concomitanza di crisi globali e ansie collettive (pensiamo alla prima ondata in piena Guerra Fredda o ai vari indirizzi retrò post-11 settembre). La questione, del resto, ha anche un suo senso: è una musica oscura e alienante, esprime inquietudine e reazione all'ottimismo, alle illusioni dell'euforia pop. Il fatto che stia riemergendo prepotentemente, soprattutto contaminandosi con la dance (Black Marble, Viagra Boys, Paramore) deve dirci qualcosa?