Electric Vibes: quattro segnalazioni controcorrente

Stanchi di un panorama musicale stantio che si limita a riproporre piccole variazioni sul tema senza mai osare troppo? Frustrati da una realtà abulica che tarpa le ali alla vostra immaginazione? Se ai suoi albori l'elettronica poteva venir considerata "musica d'avanguardia", dalla coniazione dell'electropop fino ai più recenti sviluppi di utilizzo del digitale il fenomeno ha con ogni probabilità strabordato oltre l'etichetta di "musica di massa", con tutte le avarie del caso. Fortunamente il mare magnum musicale ribolle nelle sue profondità di proposte creative, se non in alcuni casi persino ardite. Vi segnaliamo qui infatti quattro uscite italiane che, più che piegarsi alle richieste di mercato, adeguano le tendenze elettroniche contemporanee dandole coerenza con le proprie idee.
1 | Dalila Kayros - Khtonie

Il quarto album di Dalila Kayros può essere considerato un'operazione da retro-futurismo, combinando le radici antiche della lingua sarda ad arrangiamenti hi-tech fatti di orchestrazioni lussureggianti e arabeschi canori pronti a piegarsi a seconda della sensazione da voler trasmettere all'ascoltatore ("La voce non deve essere sempre piacevole o accomodante, ma deve saper esprimere cosa ci sta accadendo in questo momento apocalittico"). Forse è proprio a livello ideativo, ancor prima che tecnico, che la cantautrice si distingue dal musicbiz contemporaneo per una vision artistica limpidamente fuori dagli schemi. Il disco è ispirato, come riporta l'artista stessa, alle divinità Chtonie che governavano gli inferi prima della creazione della Terra, e come suggerisce lo stesso sardonico sorriso presente sulla copertina. Questo parallelismo storico (allarmista o semplicemente decadente, fate voi) è sorretto da una modulazione vocale oltre i limiti del pensabile, che riconduce suggestivamente a tempi remoti, a una dimensione fatta di epressioni emotive per così dire istintive, coniugandosi al tempo stesso con l'avanguardismo dello strumentale. Audace.
2 | Bordeaux - Pesa tutto il mondo addosso

Il primo full-lenght della popwriter romana Bordeaux sceglie la strada del cuore aperto e della confessione empatica, tra beat house (Scriverci solo di notte, Cuore o testa) e pop-soul (Niente di Speciale, Fuoristrada). Il progetto sembra votato a un'altalena ai cui due estremi ci sono ballabilità e introspezione, senza sacrificare per questo l'aspetto prettamente melodico e soprattutto gli arrangiamenti elettronici a base di grintosi pattern ritmici. L'onestà lirica, specie nei passaggi più danzerecci, mostra il fianco a una certa prevedibilità, in altri casi invece, (È come diventare grandi e Fuoristrada su tutte), la scrittura ha una freschezza che nobilita ed eleva l'easy listening del chillout ("Ho provato a costruire senza mai guardare strati di cemento diventare case, per cercare solo un po’ di cielo dovrò̀ faticare, non c’è il sole dov’è il sole"). A ergersi sulla produzione è senz'altro però la vocalità di Bordeaux, eterea, analgesica ai limiti dell'asmr, e influenzata senza troppi margini di dubbio dal whispering di Billie Eilish. Il disco è un'immersione nell'intimità dei pensieri e dei sentimenti senza drammatizzazione ed eccesso, un librarsi misurato tra i moti dell'anima.
3 | ARMORE - Perdenti
L'album d'esordio del veronese Armore, al secolo Nicu Bors, è un'Antologia di Spoon River all'italiana: 9 ritratti di outsider, personaggi-tipo dei nostri tempi, scandagliati nei loro conflitti interiori, nelle loro irresolutezze. Introdotti dalla notifica di un'app di food delivery e da un ansiogeno ticchettio di lancette, veniamo subito lanciati in uno scenario IDM alla Metropolis. La setlist però cambia presto registro, assumendo la forma talvolta di cantautorato, talora di indietronica: si parla di provincia e stigmi sociali, di onlyfanser, di intellettuali in cerca di ego-nutrizione sociale, di terrorismo mediatico. Se la prima sezione del disco palesa un'urgenza espressiva a dir poco impellente (sconfinando in casi come Giulio in una verbosità morbosa), il lato b tende alla suggestione emotiva con sonorità distese (Lucia deve qualcosa ad Apparat) e a messaggi di più ampio raggio (la sfinge-AI che recita meccanicamente Marco è consapevole di non capirci un cazzo). Tutto però si conclude con un j'accuse collettivo, rivolto tanto alla massa disperata quanto alle élite disumane che l'hanno resa tale. Un carillon elettronico di impegno sociale.
4 | dada sutra - questo amore mortale PIÙ

Lo scorso ottobre è stato rilasciato l'album di debutto di Caterina Dolci (attuale bassista delle Bambole di Pezza), in arte dada sutra. Un disco ricolmo di suggestioni kraut e di invettiva sociale che a tratti sembra riportare in vita una domanda ucronica: "come sarebbe suonato The Wall se i Pink Floyd fossero nati qualche anno dopo a Berlino?". La cantautrice milanese punta il dito contro il brainwashing e l'educazione dogmatica perpretata sin dagli anni scolastici (indicativa in questo senso la canzoncina teutonica dell'opening). L'intento è iconoclasta, scagliandosi contro principi atavici come il confine geografico ("non apro i più i libri di storia, sogno il futuro, credo in vecchie utopie urbane”). Musicalmente l'album non si discosta molto, smaltendo (più che omaggiando) sonorità retrò che rimontano agli anni del Muro (l'intro di Le cure, ad esempio, ricorda Photographic dei Depeche Mode). Un lavoro dall'impeto decisamente sovversivo sotto tutti i punti di vista, dunque, che smuove (e neanche di poco) le acque dell'electropop italiano. Per i fan e per chi vorrà approcciarsi al progetto, il 24 aprile uscirà un'edizione deluxe dell'album che arricchisce la playlist di alcune versioni originali e live.