Garda 1990 - Forevermore Segreti

Facciamo chiarezza: tutto è iniziato verso il 2010, quando band come i Modern Baseball e Hotelier decisero di riallacciare i fili col midwest emo 90s. Da quel momento, la tendenza iniziò a spopolare insinuando i propri rivoli fin nei più accessibili schemi mainstream, che si trattasse di rap o di easycore. Oggi, già solo dando una scrollata alle playlist, si può constatare come questa ondata abbia investito, con qualche prevedibile anno di ritardo, anche l'Italia. I motivi alle spalle di un fenomeno di questa portata sono sempre sfuggenti, ma possiamo azzardare ipotesi che vadano oltre i ciclici comeback nostalgici che fanno le fortune dei marchi d'abbigliamento con le loro retrò collections. Ad esempio, io penso che la filosofia DIY alla base di questi movimenti rappresenti l'assioma che meglio si allinea all'attuale cultura digitale e social. Ma mettiamo adesso da parte la loquela per chiederci, all'interno di questo scenario, in cosa fanno la differenza i Garda 1990? La band bolognese è alla prova del secondo album con La Tempesta Dischi, a quasi cinque anni da Downtown, un disco ancora intimamente anglofilo e lo-fi, e dall'EP Venti, che già adottava l'italiano, pur senza spostare troppo le coordinate stilistiche. Forevermore Segreti, in questo senso, è un radicale cambio di rotta che si distingue per una scrittura in direzione indie e un controllo melodico depurato della sofferenza sbraitata di tanto emo contemporaneo. È vero che nel genere regna molta vulnerabilità, talvolta "affettata" per così dire, ma anche la carica esplosiva di band come Riviera, Cabrera e così via qui sembra stemperarsi in un clima più meditabondo, che non sfocia mai nel tenebroso e si avvicina quasi alla slackery.

Il leitmotiv dell'album è un mood, una sorta di epitome della post-adolescenza. L'opening Drama, col suo arpeggio in odor di What's my Age Again e lo spoken word (ormai cifra stilistica connaturale al genere), è quasi programmatica: la sazietà semantica, la sensazione che "a forza di ripeterla una parola perda significato", la metafora di una serie di stimoli dettati dalla società ("perchè nella vita devi arrivare"), ormai privi di vero senso e innescati col pilota automatico. Che piega dare alla propria vita? chi sono io veramente quando gli altri non ci sono? mi vedono o l'assenza di traguardi mi depriva dell'identità? sembrano domandarcelo direttamente Sparire e Bulma, quest'ultima con la partecipazione di Sick Tamburo in un pezzo molto alla Quercia, ma singalong più che screamo. Alcuni passaggi più canonici potrebbero risultare meno ispirati come Canyon e Precari, in altri va invece sottolineato l'eccellente lavoro di basso jangle: è il caso di Self, dove per la prima volta ci vengono ad aprire la porta anche synth vaporosi e shout nella sezione finale, e di Dizzy. Quest'ultima in particolare nasce sotto propositi più manifestamente di anthem ("siamo una generazione stanca, ma non si sa il perchè, i sogni non sono più accessibili") e forse non a caso sembra a più riprese ammiccare alla sezione ritmica di Dance Dance dei Fall Out Boy. A titolo di mero gusto personale, a brillare su tutte all'interno della setlist ci sono però i muri distorti e i ritmi danzerecci di Mezzanotte, un brano sull' "entusiasmo del ricordo" ucciso dal continuo confronto con la situazione presente. Gli arpeggi scintillanti di chitarra e il giro mugghiante di basso impreziosiscono la struttura circolare di questo pezzo che si chiude con lo stesso trambusto noise da cui è introdotto.

Nel complesso, il trio ci regala un disco molto coerente, efficace da un punto di vista del coinvolgimento emotivo, e passano a pieni voti la prova del secondo album, (in questo caso agevolata o complicata? fate voi) considerando le tante incognite in ballo nella virata dall'album d'esordio. Devo essere onesto intellettualmente e ammettere che le orecchie del sottoscritto sono abbastanza sature di questo genere di sonorità, ma bisogna notare come i Garda 1990 effettivamente si pongano più in un'area mediana, tra l'easygoing indie e l'intima introspezione di matrice 90s, salvo concedersi qua e là spiragli all'eccesso. Una via che può farsi largo tra il "bello, ma già sentito" e il "troppo rumoroso, skippo", potenzialmente suscitando anche l'interesse di un pubblico più generalista.