Hai mai sentito parlare di Space Rock Revival?

Hai mai sentito parlare di Space Rock Revival?

La domanda non è retorica. Ok che la definizione di Space Rock è per sua stessa natura dai confini labili: non è un genere con un campionario strumentale codificato, non ha un suo vocabolario di riferimento (perchè sì, parlare di luna, sole e satelliti non necessariamente ti qualifica in tal senso) e psichedelia non è sinonimo di spazialità. Quindi di che diamine stiamo parlando? Si potrebbe tornare indietro alle origini sixties di Astronomy Domine e alla messa a punto teutonica, ma qui vogliamo evitarvi uno sterile bignamino limitandoci a porvela così: lo space rock si basa più sulle suggestioni che su vere componenti strutturali. Non che non abbia le sue peculiarità: la morbosa ricerca di atmosfere ambient con riverberi, feedback e delay; la dilatazione del tradizionale formato-canzone; i saliscendi emotivi. Ma sono prerogative che, di per sè, lo rendono superficialmente assimilabile ad altri filoni (post-rock, experimental, slowcore o prog). Questo da un lato genera dibattiti "attribuzionistici" (esiste un album integralmente e costituzionalmente space rock?), dall'altro delega agli artisti ampio margine creativo per materializzare idee e sensazioni.

la rassegna space rock-shoegaze dello SpaceFest si è tenuta fino al 2019 in Polonia

Ciò che è più interessante, è che il genere ha conosciuto nell'ultimo ventennio un'evoluzione stravagante sulla scorta di nuovi e discrepanti riferimenti, diramandosi in una miriade di declinazioni. E così ai Pink Floyd si sostituiscono gli Slowdive di Souvlaki Space Station, ai crucchi Neu! i Kyuss di Asteroid e ai Rockets i Duster. Il movimento era anche riuscito a crearsi una nicchia devota che si riuniva annualmente a Danzica per un festival, per così dire, "monografico", lo SpaceFest, tristemente interrotto da qualche anno. Mala tempora currunt! Vi proponiamo però qui una guida di approfondimento a una nostra playlist interamente dedicata, in cui abbiamo selezionato alcuni dei brani più iconici della scena space dell'ultimo decennio. Partiamo?


1 | Slift - Ummon (2020)

Il mind blow è stato scoprire che questi francesi appaiono esattamente come te li saresti aspettati dopo averli sentiti su Spotify

Neanche il tempo di premere play e sembra già di orbitare nel vuoto cosmico al suono di una cavalcata dalle suggestioni kraut. Il botta e risposta tra i feedback sospesi e le schitarrate che si allontano da noi sulla loro eclittica introducono un cantato che farebbe pensare alla voce di un potenziale fratello minore di John Garcia (Kyuss). Il trio di Tolosa inacidisce il viaggio prima della collisione astrale al minuto 3:45 e della salvifica fuoriuscita dal buco nero a 4:10. La sensazione è di essere a bordo della Nostromo di Alien, quello sicuro, ma con una mano sul volante e l'altra fuori dal finestrino.


2 | Kairon; IRSE! - Welcome Blue Valkyrie (2020)

Elon Musk vuole portare la gente su Marte entro 20 anni, questi finlandesi invece stanno già creando l'atmosfera sul loro pianeta (recuperatevi il live Roadburn Redux 2021)

La spedizione astrale sembra farsi più lisergica e ondeggiante, perfettamente bilanciata tra reminiscenze floydiane e shoegazing. La voce è una lontana frequenza captata per sbaglio dal trasmettitore (dalla cabina di regia mi dicono che nello spazio non c'è suono, ma io continuo a credere che sia l'eco di Rachel Goswell dalla Terra); il basso è praticamente stoner puro. L'atmosfera soffice ed eterea lascia presagire che la band finlandese questo viaggio l'abbia più sognato che realizzato davvero.


3 | Comacozer - Mydriasis (2019)

Comacozer, neural amplifier from Sydney

Persona X ascolterà i primi due minuti e dirà: "Questa roba è malata", salvo ritrovarsi al minuto 13 senza sapere nè come nè perchè. Mydriasis (da cui la canzone omonima) è come quell'amico che ti chiede di riaccompagnarlo a casa dicendoti che abita dietro l'angolo, salvo poi trascinarti in un'odissea galattica a rischio smolecolarizzazione: l'album è composto da sole 3 tracce per la durata complessiva di 45 minuti e trabocca mind-bending in ogni singolo secondo. Le palesi influenze psych e stoner della band di Sydney ci ricordano che non è necessario salire su uno shuttle per ritrovarsi nell'universo.


4 | Post Elvis - Dodge (2023)

Non immaginate la difficoltà nel trovare una sua foto. EDIT: in questa lui non si vede.

Qui la fantascienza è già intrinseca nella scelta di concetto, perchè miscelare in un solo drink Mac deMarco, Souvlaki Space Station, chill rap, Massive Attack e post-rock forse sarebbe stata un'operazione chimerica anche per Ray Bradbury. Il risultato è una passeggiata fluttuante con scarsa forza di gravità; da ascoltare in macchina nelle serate opalescenti infrasettimanali in cui preferiresti stare sulla luna piuttosto che in strada pensando a domani.


5 | Landing - Nod (2018)

L'attitudine gaze si percepisce già dalla cordialità che lasciano trasparire dalle foto

I campionamenti sono quelli dei Neu!, ma l'imprinting è gaze, come si intuisce dalle ritmiche martellanti e dalle alluvioni chitarristiche alla Ride, o dalle voci sussurrate di rievocazione dreampop. La trazione anteriore dei synth e dei bassi distortissimi è solo propedeutica al decollo: la vocazione atmosferica è avvolgente nella deflagrazione dei pad che si accendono e si dissolvono gradualmente, lasciando il posto ad alternanza a chitarre acidissime. A suo modo, una Star Roving più adrenalinica.

6| Tonstartssbandht - Breathe (2017)

Uno dei tanti viaggi dei due fratelli americani (non fatemi riscrivere il nome)

L'inizio ricorda l'atmosfera fumosa dell'ipnotica Planet Caravan dei Black Sabbath con tanto di voce qua e là filtrata dal Leslie. Poco dopo le percussioni (di ogni tipo) e i riverberi iniziano a non aver più freni inibitori, avvallando uno stato di trance per cui non farà più differenza che tu ti trovi ad ascoltarla in ufficio o in viaggio per Marte. Il duo della Florida deve averne fatte tante di queste rotte inter-galattiche vista la loro prolificità (18 dischi in 13 anni).


7 | Traum - Inner Space (2024)

I componenti provengono da Fuzz Orchestra, Il Lungo Addio, Zu, Lento e, come potete vedere, dalle stelle

Ci tenevo a inserire una band italiana, anche a dimostrazione che, nonostante il piatto maelström delle uscite settimanali, è possibile scovare hidden gems anche tra i cassetti del comò di casa. I Traum sono, come si suol dire, un supergruppo di varie provenienze underground al loro primo album e Inner Space mi sembrava la scelta più calzante. Le references sono più retrò: già dai primi secondi si respira krautrock in ogni angolo, pur con velleità prog alla Goblin. L'esito è una cavalcata che non sfigurerebbe affatto in qualche sci-fi carpenteriano. La chiusura trionfale vale quasi tutto l'ascolto.

8 | Astrodome - Doldrums End (2024)

Onde dell'Atlantico, vinho do Porto e trip

Prendi i Kyuss, smorza lo sludge con accordi jazzy e una texture di riverberi chill, ripeti fino alla nausea la stessa frase armonica mentre la chitarra stiletta ricami in bilico tra blues e dreamy, quello che ottieni è una malinconia allucinata, indolente e trasognata. Gli Astrodome dal Portogallo, pronti per esportare la saudade nell'universo.


Playlist completa a cura della Redazione:

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