In Italia li definiremmo "borderline"

Affrontare in questa sede il trito e ritrito discorso sul perchè alcune sperimentazioni sonore non abbiano più mercato in Italia (ma la questione inizia a diventare ben più estesa) sarebbe superfluo e probabilmente inconcludente. Le cause sono molteplici e, per quanto si voglia additare ora il consumismo, ora la crisi economica o le scie chimiche, non sono riconducibili a una sola fonte comune. Gli album che oggi vogliamo presentarvi, è doveroso premetterlo nel caso vi siate lasciati turlupinare da questo panegirico iniziale, non hanno velleità avanguardistiche o di innovazione dirompente, e probabilmente non si prefiggono nemmeno di aprire un varco nel mercato italiano. Il punto è che l'appiattimento del mainstream nostrano ha raggiunto un punto tale di saturazione che sonorità neanche totalmente inedite possano venir percepite come borderline dall'ascoltatore medio, come qualcosa di estraneo e quasi di fuori posto per i più pigri e abitudinari musiconauti di Spotify. Quanto spesso vi è mai capitato di accendere la radio e imbattervi nella versione made in Italy delle strimpellate sofisticate alla Kings of Convenience o di un Neil Young che, plettro e tremolo alla mano, ti dipinge a suon di fraseggi le amenità del Meridione? Meglio tacere forse direttamente su forme di elettronica di genere.
1 | byenow - Feeling warm driving in bad weather

Le prime due tracce del disco non sfigurerebbero nel soundtrack di un film di Paolo Sorrentino grazie al loro songrwriting emozionalmente denso alla Anthony & The Johnson. L'obiettivo è manifestamente far vibrare l'anima e il lavoro nel complesso riesce nell'intento al punto che, ad esempio, tra gli strumming di chitarra di Tower Song, riesco persino a immaginare il pulviscolo nei raggi di luce che penetrano dalla finestra in autunno. Non sono veri e propri testi quelli del duo piemontese giunto al secondo album, sono più preghiere, per certi versi reticenti, talvolta anche volutamente e ossessivamente reiterate. Al punto che in una ballad liberatoria e tutta incentrata sulla good solitude come October, riusciamo appena a intuire le ragioni del carico di malinconia iniziale. Il loro art-pop si declina secondo varie influenze lungo l'arco della durata: assume contaminazioni folk alla Kings of Convenience (Jar + Torg), prende una piega chamber in How Are You? che ricorda le sonate più distese dei Sigur Ros, e sembra chiamare in causa addirittura gli instrumental dei Notwist con arpeggi e xilofoni riverberati (Ivo). L'impressione è che il disco tenda a diluire la forma nella seconda metà della setlist, così che dopo una ballad stomp & holler auto-commiserativa come Run Away, le atmosfere si dilatano e si rarefanno, perdendo il brio della premessa. A chi si rivolge un prodotto di questo tipo? Feeling warm driving in bad weather è un album raffinato e cameristico, da ascoltare in intimità senza rivolgersi troppe domande, riscoprendo la bellezza di un prevedibile (ma mai scontato) "autunno soleggiato". Quante persone però, oggi, sono disposte a mettere in discussione la propria routine e riscoprire l'incanto delle cose semplici, è un altro discorso, e solo apparentemente sganciato dal senso di questo album.
2 | Andrea Marchesino - Gargano Blues

Se l'album dei byenow mi ha rievocato i primi film di Sorrentino, il viaggio spirituale di Andrea Marchesino tra i dedali della sua natia terra garganica sembra avere parallelismi con quello a base di schitarrate acidissime di Neil Young in Dead Man. Certo, meno lisergico, con meno sfibrante circolarità e verosimilmente anche meno improvvisazione, ma l'intento è la costruzione di un immaginario cinematico e il senso più profondo, precisato dall'artista stesso, ha delle affinità col film: dipingere le asperità e la bellezza irregolare di un contesto sepolto dal chiacchiericcio della turistificazione di massa. L'impianto generale è un sound blues che strizza l'occhio all'americana, ma che assume diverse inflessioni lungo il suo corso, passando dalle sonorità latine (Cielo e Terra), del mediterraneo orientale (Selce), al folk (La Vacca), al surf 60s (Litoranea) fino al funky-hip hop (Radio Ghetto) e avvalendosi anche di collaborazioni prestigiose del mondo accademico e della musica colta (Marta dell'Anno, Antonello Iannotta, Jack Spittle, Yeore Kim). A tratti il lavoro tenta incursioni jazz, ma si tratta per lo più di lick chitarristici, che rientrano puntualmente nella propria area di safe, un blues di tradizione americana. Aldilà della stretta cerchia di appassionati del genere, l'eclettismo del disco si presterebbe a un ventaglio potenzialmente più ampio di ascoltatori, incuriositi dalla fusione di stili. In realtà l'album si dichiara sin da subito, quasi per statuto, un articolo destinato a un pubblico colto, in grado di cogliere e apprezzare i crossover e le transizioni sonore.
3 | Rosapolvere - Dungeons & Drones

Quello di Rosapolvere è ⎯ permettetemi il pun ⎯ un critico positivo, che potremmo etichettare come "elettronica di genere". Mi resta difficile ripescare sul territorio nostrano lavori simili con un concept così fortemente inquadrato, cosa che rende Dungeons & Drones (primo dei riferimenti più che espliciti) un ascolto dichiaratamente strano e consapevole. Più che un EP ⎯ il primo per l'artista dal passato nella scena metal ⎯ si ha la sensazione di seguire i turni di un classico gioco di ruolo da tavola. Le quattro tracce non solo fanno riferimento in maniera testuale al mondo fantasy attraverso i titoli (penso soprattutto a Mork Borg e Gormenghast), ma sono proprio costruite utilizzando il materiale di gioco come elemento sonoro. L'autore, che si è capito ha una forte passione per i temi nonché una conoscenza approfondita, ha scelto di ricostruirne l'universo, o almeno la sua interpretazione, partendo da synth saturati e spinti e aggiungendo sample vocali tratti da letture di manuali di gioco e altre fonti. L'apparato percussivo è minimale ma solido, rilegato quasi esclusivamente a dei kick che hanno il compito di farvi salire, se già ne avevate poca, l'ansia. L'avventura sonora dopotutto è interamente composta da toni inquieti, tetri e violenti fin dall'inizio. Farewell with a Claymore rievoca (non soltanto a me, voglio sperare) la sensazione che precede l'abbattimento di un boss con uno spadone a due mani. Scelta da manuale ma sempre funzionante il doppio kick che imita un battito cardiaco, arricchito da synth eccessivamente saturati che danno quasi l'impressione di annebbiamento dei sensi. Gli ultimi secondi dell'EP portano a compimento l'opera deflagrando totalmente lo spettro sonoro costruito finora con un potente effetto bitcrush. Una manovra nostalgia (o follia?) che sicuramente va menzionata.