Little Pieces of Marmelade, l' Errore degli Dei e il ritratto di una "cellula minima"

Little Pieces of Marmelade, l' Errore degli Dei e il ritratto di una "cellula minima"

Come in Dottor Jeckyll e Mr. Hyde o nel Sosia dostoevskjano, anche nella creazione musicale il doppelgänger si fa espediente artistico per rappresentare la dualità conflittuale nell'animo umano. Così, appena due mesi dopo l'anglofilo (passatemi il termine) Mexican Sugar Dance, tornano i Little Pieces of Marmelade, stavolta con un disco italianissimo (almeno sotto il profilo della lingua prescelta). È un discorso intrapreso già 3 anni fa con Ologenesi (2022), ma 404DEI (Errore degli Dei) ribadisce questa ambivalenza comunicativa sotto tutti i punti di vista. Introdotti da una nenia lisergica sulle note di un pianoforte sbilenco, si entra in un incubo in continua oscillazione fra psichedelia velvetiana e indigeste distorsioni stoner, velleità cosmiche alla Flaming Lips e molto alt rock della golden era italiana di Mtv (citata nella setlist del disco peraltro). Ci siamo confrontati per alcune domande con Frankie in merito al loro ultimo lavoro e ad alcune considerazioni sulla loro direzione artistica. Qui di seguito il nostro scambio di battute:

404DEI

(Errore degli Dei)

Instagram

Innanzitutto di nuovo l’italiano (la prima volta in Ologenesi, 2022), una scelta apparentemente controcorrente presso le nostre sponde. Forse ne avete già parlato, ma la nostra curiosità era: perché? Cosa vi ha spinto a tornare alla vostra lingua madre? Secondo voi per una band italiana emergente che viene dall’underground, scrivere in italiano può essere un ostacolo o un vantaggio?

Tornare all’italiano non è stata una scelta strategica, ma una necessità che a un certo punto si è imposta. La prima volta in Ologenesi: ci siamo accorti che alcune cose non riuscivamo più a dirle davvero in un’altra lingua. L’inglese ci aveva dato libertà, distanza, anche una certa protezione. L’italiano invece ci ha tolto il filtro. È più scomodo, più esposto, ma anche più onesto. Scrivere nella lingua madre ha cambiato il modo in cui suoniamo e pensiamo le canzoni. Le parole hanno peso specifico diverso, arrivano dritte, senza mediazioni. Ha dato un glow up soprattutto emotivo: meno maschere, più responsabilità. Ogni frase in italiano ti chiede di crederci davvero, perché chi ascolta capisce subito se stai bluffando. Per una band italiana emergente dell’underground l’italiano può essere entrambe le cose, ostacolo e vantaggio. È un ostacolo se lo vivi come un limite, se cerchi di imitare modelli che non ti appartengono o di rendere “internazionale” qualcosa che nasce locale. Diventa un vantaggio enorme quando accetti il rischio e usi l’italiano per dire cose che nessun altro può dire al posto tuo. Alla fine non è la lingua a fare la differenza, ma il grado di verità che sei disposto a mettere in gioco. L’italiano non perdona, ma quando funziona crea un legame molto più diretto, quasi fisico, con chi ascolta. E per una band che nasce dall’underground, quel tipo di connessione è tutto.
L'artwork di 404DEI (Errore degli Dei) ©  a cura di Frankie Wah degli stessi LPOM

Parlando del tuo artwork che, come solito, ruba particolarmente l’occhio al pari delle altre copertine tra surrealismo e art brut, personalmente vi ho sempre ravvisato una qualche affinità con le grafiche dei dischi dei Dinosaur Jr. C’è stata effettivamente questo tipo di ispirazione? Non ho paura di passare per superficiale, ma quando da ragazzino (qualche era geologica fa) entravo in un negozio di dischi, la mia preferenza d’acquisto ricadeva a scatola chiusa sulla copertina che più catturava la mia attenzione, era anche un modo un po’ randomico per scoprire nuova musica. Che tipo di sensazione volete trasmettere per osmosi nelle vostre grafiche?

C’è sicuramente una parentela emotiva con certe grafiche dei Dinosaur Jr., più che un’ispirazione diretta. È quell’estetica istintiva, un po’ storta, che non spiega ma attrae, che ti prende prima ancora di sapere che musica c’è dentro. Ci appartiene naturalmente. Le nostre copertine non vogliono illustrare i dischi, ma creare una reazione immediata, quasi fisica. L’idea è la scoperta a scatola chiusa, guidata dall’occhio e dalla curiosità, come entrare in un negozio di dischi e lasciarsi attirare da qualcosa senza sapere perché. La grafica cerca sempre di rispecchiare le emozioni che provo mentre suono e registro questi dischi: confusione, urgenza, fragilità, entusiasmo. Come la musica, non cerca di essere bella o rassicurante, ma necessaria e sincera.

Soprattutto nelle prime tracce di questo 404DEI ho sentito una certa fascinazione, sia a livello di scrittura che di produzione, rimanendo in ambito italiano, coi Verdena del periodo Requiem e a tratti anche Wow. Voi che vi siete anche esibiti con Alberto Ferrari, riscontrate questa influenza? Quali altri artisti italiani vi hanno spinto verso le vostre sonorità?

La fascinazione per i Verdena, soprattutto nel periodo Requiem e Wow, è reale. Alberto è stato un nostro mito, qualcuno che ci ha formati, e suonare insieme ha avuto un valore forte. Ma i miti, a un certo punto, vanno abbattuti: stiamo entrando nella pratica del “kill your idols”, riconoscere ciò che ti ha costruito e poi smettere di farti guidare da quello. Detto questo, se ogni tanto senti Alberto è probabilmente perché sia noi che lui ascoltiamo gli stessi tre artisti del cazzo, e basta. Non è un’imitazione, è una sorgente comune. Oltre ai Verdena, ci hanno ispirato molti altri artisti italiani, anche molto diversi tra loro: alcuni ci hanno spinto in avanti, altri ci hanno succhiato l’anima e poi lasciato per strada. Anche quello è stato formativo. Tutto è rimasto come sedimento, non come modello.

Se doveste indicare un leitmotiv che percorre tutto il disco, anche sotto forma di immagine o di una frase, quale scegliereste?

L’immagine è quella di qualcuno che continua a muoversi anche quando il sistema è rotto. La frase potrebbe essere: “non funziona, ma è vivo”.
I LPOM a X Factor 2020

A distanza d’anni, vi siete mai chiesti quale sia stato il motivo o il fattore che vi ha portato alla ribalta di un programma nazionalpopolare come X Factor, dove sonorità di questo stampo hanno tradizionalmente (nel migliore dei casi) vita breve?

Ce lo siamo chiesti, sì. E la risposta più onesta è che probabilmente non c’era un motivo preciso, né una strategia. È successo perché per un attimo il sistema ha avuto una falla e qualcosa che non doveva passarci è passato lo stesso. Non abbiamo mai davvero “funzionato” per un contesto come X Factor, e forse è stato proprio quello il punto. Eravamo fuori posto, poco addomesticabili, difficili da incasellare. In certi momenti anche i meccanismi più nazionalpopolari si distraggono, e quando succede entrano cose strane. La risposta, se esiste, è questa: non ci siamo adattati noi, è stato il contesto che per un secondo ha smesso di capire cosa stava facendo. E noi ci siamo infilati lì, senza chiedere permesso e siamo arrivati secondi come la band di Thomas Raggi

Nell’immaginario collettivo la “rock band” è una società a sé stante fatta di discordie, fratellanza e lotta per accaparrarsi i posti migliori nel van. Voi invece siete un duo e a naso verrebbe da pensare “beh, meno problemi, meno danni”, anche se immagino le dinamiche siano completamente differenti. A livello umano e di scrittura, come vivete questa coesistenza in una “cellula minima”?

Essere un duo non significa avere meno problemi, significa averli tutti concentrati in due persone sole, senza testimoni. È una cellula minima, sì, ma altamente instabile: se qualcosa va storto non puoi scaricarlo sul bassista, perché il bassista sei tu o ti guarda negli occhi mentre sbagli. A livello umano è una convivenza forzata tra due menti che si somigliano abbastanza da capirsi e abbastanza diverse da farsi male. Non c’è diplomazia da band numerosa, niente correnti interne: ogni tensione arriva diretta, senza filtro, come un feedback troppo alto. Questo rende tutto più faticoso, ma anche più sincero. Nella scrittura è lo stesso: meno compromessi, più attrito. Ogni idea o sopravvive o muore subito, non c’è il tempo di diventare mediocre. Rispetto a una band “classica” perdi la mitologia del branco e la guerra per il posto nel van, ma guadagni una specie di laboratorio clandestino: due persone, una stanza, e la sensazione costante che tutto possa implodere o funzionare benissimo da un momento all’altro. Ed è proprio lì che succedono le cose migliori.
Photo by Francesco Torresi

Per concludere delle domande a raffica a risposta secca e a bruciapelo, come nostro solito:

Guilty pleasure musicale?

Elodie

Beatles o Rolling Stones?

Beatles

 Meloni o Schlein?

Meloni ma a testa in giù

 Canzone che avreste voluto scrivere voi?

Pasta con tonno

Riff o testo prima?

Prima riff, poi il testo arriva quando non puoi piu evitarlo

Italia o estero (a parità di cachet)?

Alcuni tour da band altrui, dove l’energia non circolava mai nella stessa direzione

Città in cui vorreste vivere?

Palermo