Lo Slacker Rock non è mai stato così attuale

Lo Slacker Rock non è mai stato così attuale

In un film del 1991, Richard Linklater descrisse sul grande schermo il profilo della cosiddetta 'slackery' della generazione X, quella immediatamente successiva ai baby boomers, per intenderci: sfiducia verso il futuro, cinica indolenza, velleità pseudo-artistiche e conversazioni intellettualoidi spesso sfocianti in grottesche teorie del complotto. Erano gli anni dei Nirvana e del grunge, ma anche quelli di una controcultura che voleva esprimere in musica la propria opposizione bohémien al conformismo della generazione precedente (slacker vuol dire essenzialmente 'fannullone', colui che evita attività socialmente concrete senza alcun valido motivo). Così, dalla scena indie rock anni '90, affioravano band che con grande orgoglio mettevano in mostra lo stile più trascurato a cui il pubblico era mai stato abituato, una 'ricercata' sciattezza nel controllo vocale e melodie debosciate che suggerissero disfattismo e scetticismo verso qualunque istituzione consolidata.

Oggi questa musica ci parla più del passato: la slackery dei 90s era un rifiuto quasi ideologico in forma di protesta al sistema consumistico, quella di oggi si lega piuttosto a una stanchezza esistenziale in relazione al contesto socio-economico (incertezza degli scenari politici, precarietà occupazionale, crisi economica). Una resistenza passiva e orientata all'autosufficienza in rivolta contro la cultura della visibilità e dell'ipercompetitività. Se volete sentirvi però meno soli nella vostra instabilità e trovare conforto nei lamenti più classici del genere, Deserto Sonoro vi ha preparato una playlist ad hoc da cui partire.


1 | Dinosaur Jr - Little Fury Things (1987)

La rivoluzione di J Mascis e compagni fu di un peso specifico incalcolabile per gli sviluppi degli anni '90: tornare al sound chitarristico dopo un decennio di oblio e alle distorsioni dell'underground senza però la vena bellicosa e irruenta del punk, sostituendo i latrati hardcore con voci fievoli e malinconiche. Un turbine di fuzz e wah e un urlo disperato in lontananza ci introducono al brano, ma un'improvvisa transizione trasforma il dramma in una filastrocca indie. "Un coniglio si allontana da me/mi distrugge, penso che striscerò", una ragazza sfuggente per la quale sei disposto a piegarti pur di raggiungerla o metafora di un'innocenza perduta/mai avuta e irraggiungibile in questo mondo?


2 | Dinosaur Jr - Freak Scene (1988)

Il successivo album Bug consacrò l'immaginario losers in perenne crisi post-adolescenziale dei Dinosaur Jr. Il rumore è ancora più addomesticato, le melodie sempre più jangle; fu il primo brano della band a esordire con un video su Mtv, divulgando il loro Verbo al di fuori della stretta cerchia underground. Freak Scene è un inno alle relazioni disfunzionali, che siano sentimentali o amicali: "a volte non ti entusiasmo, a volte penso che vorrei ammazzarti, per favore non farmi fare una cazzata perchè quando necessito di un amico ci sei comunque tu. Che disastro".


3 | Sonic Youth - Teenage Riot (1988)

Se si parla di provocazione e resistenza al conformismo, i Sonic Youth rappresentano un capitolo talmente iconico che qualsiasi presentazione risulterebbe superflua. Daydream Nation è il manifesto di una generazione americana cresciuta ai margini dell'era Reagan, che esprimeva il suo dissenso attraverso il nichilismo del rumore. Teenage Riot è una chiamata alle armi anti-establishment: "Tutti parlano di questo clima di tempesta, ma cosa fate al di là dell'accertarvi che sia effettivamente così?". Non a caso nel pezzo si fantastica una realtà alternativa (nel vero senso della parola) in cui il presidente degli Stati Uniti è lo stesso J Mascis (ormai elevato a vessillo di una generazione), a cui si chiede con disperazione di "venire in proprio soccorso con la sua testata Marshall a dare almeno un'idea su come agire".


4 | Pavement - In the Mouth a Desert (1992)

Il dissenso dei Pavement si esprimeva nella violazione di qualsiasi costume del buon songwriting: chitarre scordate, distorsioni tonfe e saturissime, melodie lagnose. Tutto ciò abbinato al look della band che venerdì scorso ha suonato alla festa nel sottoscala del vicino di casa. Ma la slackery si lega in questo caso anche all'ambiguità della scrittura, nelle intenzioni intellettualoide, nei fatti indecifrabile ai limiti dell'assurdo. Così tra un'immagine bislacca e un'altra, il brano dovrebbe suonare come l'epitaffio di una fiducia irrimediabilmente spezzata: "immagina che il tavolo sia un nodo di fiducia, ci butteremo i nostri contrassegni sopra, perchè la fiducia è rotta. Vedrò i metri di spago dipanarsi e non li avrai mai più indietro".


5 | Drop Nineteens - Winona (1992)

A inizio anni '90, i Drop Nineteens erano di fatto l'unica band shoegaze americana, ma ciò che li distingueva dai loro colleghi britannici era un atteggiamento meno sognante ed etereo. Delaware è un disco che oscilla tra uno spirito di intensità quasi dolorosa (Kick the Tragedy) e uno scanzonato, come appunto Winona. Il pezzo essenzialmente parla di sfiducia verso il marcio sistema mediatico globale (le cose non sono di certo migliorate negli ultimi 25 anni, anzi): "Se hai il look, allora il resto funziona"; se sei bello/a e posi bene, chissene se fai un po' schifo musicalmente? Ti adatti a una tendenza di passaggio, il mercato ti spreme il più possibile e alla fine diventi "solo un'altra storia del negozio di dischi nata per morire".


6 | Archers of Loaf - Web in Front (1993)

Brevissime ballads powerpop orecchiabili in superficie, stridenti sullo sfondo, con schitarrate raffazonate e bassi martellanti. L'attitudine è goliardica e quasi festaiola, lo spirito è l'abrasività del disagio giovanile. Web in front è semplicemente l'anthem dei cuori stanchi e disillusi: "C'è la possibilità che le cose diventino strane, anche se non ho fatto assolutamente niente". Le esperienze non appariranno mai più fantastiche come le prime volte, le cose si appiattiranno fino a deteriorarsi e non sarà colpa di nessuno.


7 | Pavement - Cut your Hair (1994)

Lanciati sul mercato e assurti a gruppo spalla dei Sonic Youth durante la loro tournée del 1992, i Pavement tornano in studio per un disco meno sguaiato, ma se possibile ancora più nichilista e lo-fi. In Cut your Hair ritorna il tema della centralità superficiale dell'immagine nel mondo del mainstream culturale: "la scena musicale è fuori di testa, spuntano band continuamente, ne ho vista un'altra l'altro giorno, un nuova 'speciale' band, non ricordo un solo verso nè una singola parola, ma comunque non me ne frega nulla, hai visto che capelli il batterista?".


8 | Yo La Tengo - Tom Courtenay (1995)

La vena psichedelica e mesmerica è decisamente più presente nelle atmosfere di questa band di ispirazione beat, a cavallo tra noise pop e dreampop. Tom Courtneay, dal punto di vista della scrittura, è una sorta di Comfortably Numb delle persone ordinarie che non ce l'hanno fatta: "Ho passato molto tempo a sognare Eleanor Bron in camera mia con le tende chiuse, ma col passare del tempo so che il sogno sta andando via e riscuote il suo pedaggio, si prende il mio tempo. E penso a come sono le cose e a come erano, penso a Eleanor Bron e così penso a un amuleto, penso alla siringa, penso alla siringa".


9 | Duster - Inside Out (1998)

La dimensione è space rock, ma l'intento è anestetizzante: devi sentire affogare il tuo malessere nella solitudine di questo maelström soffuso di suoni distanti. Il grigiore di un lunedì mattina viene sublimato nella mollezza disincantata di queste voci flebili e dei ritmi letargici. Inside Out è la confessione di un tipo innamorato di una ragazza, ma a cui mancano le skills sociali per vivere normalmente l'esperienza: "Sarò in grado di parlare dopo un superalcolico? lenirà il mio panico e la mia sudorazione nervosa?".


10 | Guided by Voices - Game of Pricks (1995)

Garage rock e power pop con fortissime influenze psichedeliche su un impianto costituzionalmente lo-fi. Le composizioni sono volutamente embrionali e ostentatamente perfettibili. Il richiamo beatlesiano, quasi vignettistico, accentua ancor di più questa 'ricercata' sconclusionatezza. Game of Pricks (si legge e si traduce) è la dichiarazione paranoica di una persona diffidente: "Non riuscirai mai ad essere forte, sai solo essere libera, non ti ho mai chiesto la verità ma me la devi".


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