Morningviews - Anedonia

Morningviews - Anedonia

Non è propriamente un concept album il secondo lavoro dei Morningviews, ma ci si avvicina molto. E pensare che anche la scelta di intitolarlo con la radice greca di questa condizione psicologica poteva, con un po' di fantasia, sembrare una scelta coerente con quella melopeia malinconica che inaugura la setlist. Anedonia è un referto clinico a base di immobilismo emotivo e repulsione per la sterile quotidianità. Il prologo tutto languore e arpeggi di Dicembre cala subito nel mood: la vita va e viene, ma il paziente del disco è bloccato in una ricerca del tempo perduto senza riscontro. Ci informano di ciò gli strepiti sgolati di voce, pronti a denudare senza mezzi termini le proprie fragilità, su controcanti di chitarra, perennemente oscillanti tra solenni arpeggi post-rock e cascate di distorsioni che quasi sconfinano nel gaze.

I saliscendi emotivi, caratteristici di certo post-hardcore di ascendenza Touché Amoré e La Dispute, contraddistinguono l'intero album conferendogli una sua coerenza. La setlist comunque non si tira indietro davanti a possibili variazioni sul tema: Il tuo verde preferito (in duetto coi Cabrera) è senz'altro il momento più emo e anche quello in cui più forte emerge il confronto tra un'anima melodica e i terremoti ritmici al napalm tipici della band; Il peggiore dei nostri inverni, con le sue schitarrate gaze e le voci distanti, è il pezzo che punta il dito verso lo scenario geopolitico attuale. Se si vuol trovare una chiave di lettura al disco, consiglierei di partire da quest'ultima traccia (che mi ha rievocato qualche scena di Melancholia di von Trier, ma la mia mente funziona male, quindi prendete questa info per quello che è). Il clima di minaccia apocalittica latente, pur regalandoci finalmente un potenziale tema di discussione per aggirare l'onnipresente noia di questo tempo, ci disillude definitivamente dissuadendoci dal "far crescere l'amore per la morte". Poi però, vai a vedere, alla fin fine lo stato di salute non era così invidiabile già da prima ("non puoi mancarmi se non ti ho voluto bene").

Il nichilismo e i fragori sordi di Schermoluce, il basso quasi sludge di Deserti, il wall of sound e le urla belluine di Cose a cui pensare durante un rapimento, rendono Anedonia un album intimo, crudo e diretto, che conserva un sapore morboso, quasi patologico. Il filone in Italia si è rinverdito grazie alle sollecitazioni di band come Stormo e Øjne, ma anche di progetti sottotraccia per certi versi più vicini nelle idee ai nostri, come Lantern e Put Púrana. Sfruttare le potenzialità espressive del post-hc significa restituire agli ascoltatori quello spettro umorale, a base di tensione e frustrazioni, il più delle volte ipocritamente occultato (se non represso) nella società filistea e che mai come oggi negli ultimi 50 anni torna a urlare con una certa urgenza. Se avvertite ancora il peso del brainwashing e non riuscite a sbloccarvi, Anedonia urlerà per voi.