Per una genealogia dell'itpop

Per una genealogia dell'itpop

Quando si affronta la genealogia di una stagione, bisogna tener conto di queste figure cardine: i precursori (i primi che, sperimentando varie soluzioni originali, codificano un genere); le icone (coloro che adattano le invenzioni dei precursori alle forme già consolidate e apprezzate dalla società, decretandone il successo commerciale); gli epigoni (quelli che ai loro esordi o provenendo da altri contesti si affiliano a un movimento nel suo momento apicale di successo, assecondando sempre più le direttive dell'industria e inquinandolo col mainstream); e i "Romolo Augusto" (gli uscieri di un filone, quelli che chiudono i battenti di una corrente, contaminando a tal punto l'idea originaria da snaturarla). Adattando questo schema ad esempio alla stagione grunge, riesce facile individuare precursori (Melvins) e icone (Nirvana), più sbiaditi invece gli epigoni (Bush?) e i Romolo Augusto (Creed? Nickelback?). Applicare lo stesso schema alla stagione dell'itpop significa creare una linea di discendenza che da Contessa passa per Calcutta e poi per Gazzelle e si chiude con Franco126 e Frah Quintale. Fuori campo o fuori tempo massimo, comunque tenevamo molto a inaugurare una serie di retrospettive, qui introdotte da un capitolo sull'indie italiano degli anni '10. Ecco quindi una nostra personale genealogia della scena itpop, album per album, cercando di raccontarne l'evoluzione in parallelo alla storia dei millennials e della gen Z italiana. Ci sono illustri esclusi di cui terrò conto qui: innanzitutto Glamour de I Cani e Completamente Sold Out dei Thegiornalisti, "dimenticanze" dettate dal fatto che questi album non segnano delle effettive rotture coi predecessori. Ho escluso altri titoli iconici, in bilico tra indie e hip hop, al tempo ancora alla ricerca di una loro formula come Faccio un Casino di Coez o Regadez moi di Frah Quintale, o anche antecedenti importanti al filone come Zen Circus e Officina della Camomilla, non incarnando ancora fedelmente lo spirito di cui si sarebbero ammantate in particolare le uscite tra il 2016 e il 2018. Mi spiace aver ceduto alla parabola delle vite vasariane di nascita-crescita-affermazione-declino (deformazione da ex storico dell'arte), ma serviva pur una bussola per venirne a capo.


(2011) I Cani - Il sorprendente album d'esordio de I Cani

Sorprendente non di certo da un punto di vista musicale (il disco è essenzialmente synthpop danzereccio a base di tastiere da cameretta e un'attitudine punk), quanto per il destinatario. L'album d'esordio di Niccolò Contessa è la prima foto di gruppo (con filtro screziato, giusto per aggiungere quella patina nostalgica che tanto piace) della generazione dei fuorisede, dei "falsi nerd con gli occhiali da nerd", dei cool guy che guardavano i film di Wes Anderson e leggevano i libri di David Foster Wallace, ossessionati dall'idea di distinguersi pur restando dentro il recinto dei trend. Al netto della ricezione positiva, l'album rimase espressione di una nicchia (ad oggi probabilmente la più genuina e forse epitome definitiva del movimento) e, come spesso accade agli apripista, di successo commerciale modesto rispetto ai dischi che sarebbero usciti di lì a poco.


(2014) Thegiornalisti - Fuoricampo

Il trio romano aveva già pubblicato due album, ma è con Fuoricampo, rinnegando le loro radici più propriamente alternative, che giungono realmente all'attenzione di un pubblico più ampio. Stadio, Lucio Dalla, Antonello Venditti, Luca Carboni, questi i punti riferimenti del nuovo corso. Si viaggia però su binari diversi: tanto Contessa è preciso e tagliente nell'affrescare la sua generazione senza perorare nell'auto-indulgenza, quanto Tommaso Paradiso deciso nell'essere genericamente relatable, quasi ossessionato dalla ricerca di un'emotività che possa far sempre centro, a prescindere dall'ascoltatore pescato nella cesta e senza paura di scadere nella banalità più abietta. Ciò in cui il disco fa la differenza è il sound, ammantato di una nostalgia che ricorre a tutti gli artefici '80s presenti in studio: un indirizzo che avrebbe segnato notevolmente le produzioni italiane fino ancora ad oggi.


(2016) Calcutta - Mainstream

Battisti diceva: "chi fosse la provincia e chi l'impero non è il punto. Il punto era l'incendio". Se è vero che spetta a Contessa la paternità di un certo "approccio", è pur certo che non ci fu incendio più debordante di Mainstream per l'indie italiano del tempo. Calcutta ammaliava o incuriosiva per il suo ostentato anti-divismo, per la sua irriducibilità a fenomeno mediatico, per un'autenticità tanto schietta da apparire quasi fuori luogo, capace di elevare la trasandatezza (esistenziale, prima ancora che estetica) a cifra stilistica da rotocalco. Undici storie di provincia, in cui la monotonia delle periferie diventa metafora di una generazione precaria, sia dal punto di vista professionale che relazionale. Un disco che ha segnato una svolta nella musica italiana: è l'opera che libera l'indie italiano dalle sabbie mobili della "nicchia", determinando al contempo una svolta nel mainstream all'insegna del minimalismo lirico e della produzione sonora.


(2016) I Cani - Aurora

Il 2016 è il vero anno del boom per l'indie italiano e la stagione non poteva che essere inaugurata dal suo decano. Contessa qui apre la focale della sua Polaroid: non parla più degli hipster romani, parla dell'umanità nella sua interezza e limitatezza, soggiogata com'è dalle leggi di mercato (il noto referendum di Tsipras è dell'anno precedente), vittima del suo status (ancora) antropologicamente "proto" e della sua contraddittorietà (da notare che in quegli anni si era raggiunto l'apice di presenza sui social e il "dibattito pubblico" diventava un palcoscenico particolarmente sdrucciolevole). Il synthpop sveste l'abito guizzante dei precedenti album e diventa malinconico, a tratti decadente. In Aurora e Il Posto più Freddo Contessa si ripiega su sè stesso e i suoi sentimenti, facendo poi disperdere le sue tracce, in un assenteismo militante protrattosi fino a qualche mese fa: era finita una stagione, ne stava per cominciare un'altra che non lo riguardava più da vicino. Contessa l'aveva capito.


(2016) Cosmo - L'Ultima Festa

L'afflato dei Contessa e dei Calcutta arriva anche in Piemonte dove si inizia a sperimentare l'insolito mescolamento tra cantautorato di provincia ed elettronica, dub e glitch pop. Cosa rimane dopo l'ultima festa? la risposta forse è meglio non darla per evitare di sprofondare nell'angoscia. E infatti il disco di Cosmo sembra rappresentare in loop continuo quella sottile sensazione di malinconica felicità che anticipa i momenti terminali di una serata di bagordi tra amici, un istante sospeso tra la gioia effimera e la dolcezza dell'addio. La scrittura ha una creatività mediamente più interessante rispetto a produzioni affini, ma non raggiunge mai l'autorevolezza del cantautorato d'élite. Contestualmente il breakbeat ne esce un po' depotenziato, ma la formula ha un suo successo, salvo poi venir reiterata forse troppo a lungo nei dischi successivi dall'artista.


(2016) Motta - La Fine dei Vent'Anni

Troppo scanzonati i primi dischi de I Cani? un po' sciatti quelli di Calcutta? senza mordente quelli dei Thegiornalisti? troppo danzereccio Cosmo? Francesco Motta offriva la stessa solfa in versione più drammatizzante, in patina desaturata come la copertina del disco, prendendosi più sul serio. Mio Padre era un Comunista si ergeva a ritratto programmatico di una generazione che, a differenza della precedente, quella dei genitori, aveva perso l'orientamento e i punti di riferimento (o non ci credeva più), rendendo ancora più complicata La Fine dei Vent'Anni. Il risultato è ugualmente una foto d'epoca che metta in scena l'alienazione, i disagi, la precarietà e la rassegnazione della post-adolescenza anni '10, ma in una chiave più di cantautorato maudit, chitarra da busker e voce avvelenata di malessere.


(2016) Ex Otago - Marassi

Abbiamo detto: Contessa non lesina commenti beffardi al suo pubblico, Paradiso strizza l'occhiolino a tutti e Calcutta sembra paradossalmente cantare per sè stesso. Maurizio Carucci degli Ex Otago, invece, si rivolge al suo pubblico quasi tendendogli il braccio attorno alle spalle, accarezzandolo con calcolata condiscendenza. Gli dice: "se i giovani d'oggi non valgono un cazzo, gli anziani cosa ci hanno lasciato?"; gli dice che abbiamo comunque qualcosa da urlare perchè "Siamo filosofi operai, faccendieri disperati, cinghiali incazzati". Marassi è forse uno dei primi dischi in cui si percepisce quanto il movimento "indie" iniziasse a prender piede fuori dai ristretti perimetri del micro-mercato e pertanto fosse conveniente una captatio benevolentiae del suo pubblico. Del resto, hit come Quando sono con te iniziano a far interrogare su quali siano gli effettivi confini col pop da classifica. Pezzi come Mare e La nostra pelle sono gli ultimi vagiti di un alternative che sarebbe scomparso da lì a poco.


(2016) Canova - Avete Ragione Tutti

Di tutto il filone, il disco d'esordio dei Canova appare forse come il più naif (per alcuni magari anche il più acerbo), con ballad dolceamare dagli arrangiamenti immediati e senza fronzoli, con uno spirito di presa bene (nonostante quel filo di malinconia che sottende l'intera opera) che a tratti ricorda anche i Lunapop. È come se nel 2016 un parte importante d'Italia, quella composta da artisti e pubblico esclusi dai disegni del musicbiz, avesse avuto, tutta insieme e nello stesso momento, un epiphany: stufa di cantautori pomposi e intellettualoidi, tanto pieni di sè quanto sterili, stanca delle hit danzerecce da classifica e del pop meticolosamente prodotto ma finto, decide di reagire, reclamando una rappresentanza mai avuta in quegli anni. Ovviamente non parliamo di una vera e propria controcultura: le appiccicosissime melodie di Manzarek e Vita Sociale lasciano facilmente intendere le intenzioni "generaliste" di band come i Canova.


(2017) Brunori Sas - A Casa Tutto Bene

Brunori Sas è l'ultimo residuo di una discendenza di cantautori che dai poeti della golden age italiana passava per i vari Bersani, Fabi e Silvestri, e giungeva nelle sue mani a contaminarsi col sottobosco indie, pur conservando nelle sua fondamenta lo stile e le regole autoriali di inizio anni 2000. A Casa Tutto Bene rimane forse ad oggi l'unico album veramente politico di quel filone e di quegli anni: pezzi come L'Uomo Nero e Canzone contro la Paura nascono dalla vittoria di Trump di quei mesi e trasudano dello spirito che avrebbe accompagnato le nostre parlamentari l'anno successivo. Mentre gli eroi dell'itpop si ripiegavano sui propri sentimenti, sui propri disagi e difficilmente aguzzavano la vista oltre le proprie periferie, Brunori puntava al risveglio di coscienza, alla canzone impegnata, a dirla tutta in realtà senza particolari sofismi e infarcendola piuttosto di buzz-slogan.


(2017) Giorgio Poi - Fa Niente

Si impiegava un po' di tempo solitamente a capire se la voce nasale di Giorgio Poi rappresentasse effettivamente un appagamento per il proprio udito o se si rimanesse ad ascoltarla per un qualche istinto morboso di guilty pleasure. Passato questo ostacolo, ci si iniziava a chiedere quanto fosse voluta la somiglianza di Aqua Minerale ad Amarsi un po', oppure, soprattutto gli addetti ai lavori, se il bassista soffrisse di qualche freudiana mania di protagonismo a danno degli altri strumenti. Dopo tutte queste domande, ti rendevi conto che era già passata un'ora e mezza ed eri al terzo giro d'ascolto di Fa Niente, il disco che ha sancito l'unione della golden age del pop italiano (Mina, Battisti, Celentano) con la psichedelia di Tame Impala e Mac DeMarco (a cui l'artista si rifaceva anche nel look). A modo suo, una prima vera testa di ponte tra l'indie nostrano e quello d'oltreoceano.


(2017) Colombre - Pulviscolo

Probabilmente il disco più ingiustamente passato in sordina di tutto il filone. Da ascoltare quasi in controluce rispetto all'album d'esordio di Giorgio Poi, anche Colombre si rifà a un immaginario '70s, ma non tanto alle melodie scintillanti del pop d'autore, quanto alle chitarre sghembe, alla voce soffusa di Nick Drake e a certa psichedelia sgangherata. L'imprinting è ancora cantautorale, ma con un particolare estro negli arrangiamenti con la volontà di sorprendere o spiazzare (Blatte è una nostrana Chamber of Reflection). Le atmosfere intime e raccolte prive di veri e propri hook gli preclusero l'attenzione del pubblico più generalista, ma Pulviscolo rimane una sorta di cult lowkey del genere.


(2017) Gazzelle - Superbattito

Il primato di questo vezzo spetta sicuramente a Coez, ma Gazzelle è stato l'artefice della sua codificazione a tutto tondo. Mi riferisco a quel prototipo di cantante (e cantato) scazzato, quasi rassegnato, talmente annoiato da far fatica a spalancare interamente la bocca per emettere suoni o togliersi gli occhiali per tornare a vedere il mondo a colori. Una posa talmente artificiosa e ostentata che si sarebbe potuta rendere antipatica persino ai più conformisti ma che invece, per qualche strana circostanza, ha riscontrato una fortuna massiccia e persino duratura, partorendo anche una vasta schiera di emuli. Musicalmente parlando, il suo disco d'esordio è forse il pop da cameretta più insipido e mediocre creato in quel torno d'anni, a cui va riconosciuto il solo merito di aver inaugurato, appunto, un sound tastieristico ancor più minimal e ripetitivo di quello di tutto il sottobosco indie, e portando per la prima volta l'itpop verso le sponde più urban.


(2017) Pinguini Tattici Nucleari - Gioventù Brucata

Incredibile a credersi, ma ai suoi tempi qualcuno ebbe l'ardire di paragonarli agli Elio e le Storie Tese. Una sorta di ironia i sei bergamaschi in realtà la mettevano anche in campo, ma non tanto (anzi, non di certo) quella sferzante e irriverente che punge chi dovrebbe, quanto una versione piaciona e ammiccante che si reggeva sui tormentoni del momento ("le mie mani Brigate Rosse accarezzano te che sei Aldo Moro”; "Tu eri per me la consapevolezza che con l’aiuto del tempo, anche un Magikarp è in grado di diventare Gyarados"; o ancora Il futuro che ti potevo dare l'ho barattato per i vinili che ho in soffitta"). Tecnicamente parlando, per carità, la stoffa c'era così come una certa propensione all'ecletticità tipica di tanto rock demenziale, ma l'impressione è quella di voler stare con due piedi in una scarpa: divertire senza mai rischiare di non esser presi troppo sul serio e al tempo stesso sfornare tormentoni cool da radio senza essere troppo sfacciati. I Pinguini erano i primi rigurgiti di restaurazione.


(2018) Calcutta - Evergreen

L'uscita del sophomore di Calcutta fu (legittimamente) accompagnata da una certa perplessità dopo il successo straripante di Mainstream. Molti l'aspettavano al varco: il rischio era ripetersi diventando una parodia di sè stesso, cambiare radicalmente direzione pugnalando al cuore i fan, svendersi senza vergogna al musicbiz (che poi è il destino più comune per quelli che riscuotono vendite tanto enormi quanto inaspettate), o semplicemente sfornare un album deludente che gli avrebbe garantito il titolo di "meteora". In tutti i casi sarebbe stata una macchia indelebile sul proprio futuro, ma Calcutta sorprende di nuovo: il pontino abbandona la provincia e le sue atmosfere emotivamente deteriori; la formula lirica ora è piegata a inni generazionali da cantare a squarciagola. Dario Hübner, l'atleta-operaio e fumatore anti-estetico, nelle playlist delle 20enni fuorisede a Bologna; le stesse compiaciute di venir apprezzate per i propri nei e la propria saliva; il Paracetamolo status quo legalizzato di una generazione che estetizza i propri malesseri. Il processo è irreversibile: la Rivoluzione si è fatta Potere.


(2018) Thegiornalisti - LOVE

Lo so, non ho inserito Sold Out in questa carrellata, ma ho le mie buone ragioni per aver volontariamente dimenticato una pietra miliare come Completamente. Al netto della grande fortuna commerciale, quel disco (come Glamour per i Cani) non offrì significative deviazioni stilistiche rispetto al predecessore, mantenendosi su un lezioso registro '80s alla Stadio. Quando nell'estate 2018 iniziò a imperversare il video con Matilda De Angelis, molti iniziarono a profetizzare un'imminente fine della wave, sbagliandosi alla grande: la corrente si era ampiamente sfilacciata da molto tempo e Love non rappresentò nient'altro che l'ennesima pietra tombale sul discorso (anzi, per certi versi segnò anche un ritorno sui propri passi dopo marchettate pure come Riccione). Tommaso Paradiso non ha mai avuto vere e proprie velleità "autoriali", ma se pezzi come Proteggi questo tuo ragazzo o Sbagliare a Vivere mascheravano un po' le intenzioni, ora il suo indie e tutta la schiera di suoi epigoni vengono trasmessi nei lidi estivi e nei cocktail bar.


(2019) Franco126 - Stanza Singola

Caffè, moka, brioschi, noodle e nuvole di drago. Quasi come un Petrarca con gli stilnovisti, Franchino, quasi da outsider viste le origini rap, riprende la formula dei pionieri dell'itpop e la codifica nella "poesia della quotidianità" (con danni irreversibili per la musica italiana vista la filiera industriale di epigoni che ancora oggi prospera nel Bel Paese). Lo spirito malinconico e scanzonato si incastra bene con il timbro graffiante e verace alla Califano, ma al netto del suo successo (che lascerebbe presagire a una recrudescenza del genere), Stanza Singola segna forse il primo e definitivo distacco dell'itpop dalle sue radici alternative e underdog (sebbene si fossero preservate effettivamente solo in minima parte anche nei dischi immediatamente precedenti).


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