Post-Rock all'italiana. 5 uscite da segnalare

Post-rock è tradizionalmente sinonimo in musica di rottura degli schemi e di sdoganamento da qualsiasi categorizzazione. Le atmosfere si dilatano, il canonico formato-canzone si sfalda, gli intenti da melodici diventano ambient, le soluzioni sono quasi sempre ricercate e meno istintive. Il genere ha conosciuto poi nel tempo un'evoluzione inafferrabile che l'ha condotto verso lidi al limite dell'impronosticabile, riversando nel calderone realtà di ogni tipo. Per quanto riguarda l'Italia, sforniamo sin dagli anni '90 epigoni di assoluto spessore (di cui non scomoderemo qui i nomi più gettonati) e l'eredità ha continuato a passare di mano in mano sino a oggi. Pertanto vogliamo segnalarvi cinque dischi rilasciati negli ultimi mesi che crediamo possano davvero aggiungere capitoli interessanti e nuove declinazioni alla storia del filone nostrano. Vorrei prendermi il mio tempo e continuare a scrivere un'introduzione di raro virtuosismo, ma purtroppo queste velleità funzionano solo nella musica dei Godspeed You! Black Emperor, quindi bando alle ciance e partiamo.
1 | Emilio Robot - Le Transizioni

Emiglio Robot per la generazione italiana a cavallo dei '90s rappresenta oggi una sorta di archetipo di felicità e di infanzia: idealizzata e nostalgica per i millenials dal passato più agiato; chimerica e rimpianta per i meno benestanti a cui non venne mai regalato. Il nome d'arte non è sempre una dichiarazione d'intenti, ma nel caso del progetto solista di Jacopo Grande sembra particolarmente programmatico. In particolare questo terzo EP sfoggia dal primo secondo un campionario di suoni che rimandano all'età pre-puberale (e, del resto, la scelta stessa di non inserire parole al suo interno ci restituisce una dimensione in cui la realtà viene intuita solo attraverso la sfera emotiva). L'obiettivo è chiaramente creare musica "emozionante" attraverso suite crescenti a cui si aggiungono di volta in volta nuove sezioni strumentali, principalmente elettroniche. Abiturarsi e la Prima Neve (il cui titolo dovrebbe già di per sè restituire vibes da vecchio album di fotografie) hanno una struttura che ricorda i The Album Leaf: melodie elementari, dal sapore innocente, a metà strada tra la fugace allegria nostalgica e la dolce malinconia senza rimedio. Il disco è breve: 3 tracce per la durata complessiva di poco più di 8 minuti in cui però ti illuderai di veder passare 10 anni, i primi della tua vita, davanti agli occhi.
Pro: i motivi celestiali del disco sanno penetrare l'anima e toccare corde emotive ancestrali, settandoti perfettamente in una dimensione di ricordo e nostalgia.
Contro: la tendente monotematicità delle composizioni rischia di diventare un tappeto sonoro da focus music.
2 | No Pine Mall - Tide

Tra le più interessanti declinazioni del genere in ambiente peninsulare segnaliamo il secondo EP dei brianzoli No Pine Mall, capaci di coniugare l'impostazione sinfonico-cinematica del post-rock alle trame abrasive delle chitarre nu-gaze, fino all'evanescenza delle voci dal sapore etherealwave in Morwyn. Una recherche sonora che, se restiamo in ambito italiano, li apparenta in un certo senso ai Klimt 1918. La texture sonora è costantemente velata da una spettrale foschia di feedback in cui riverberi cristallini dilatano i propri confini su randellate post-punk di basso e si insinunano tra schitarrate alla Interpol. Il concept invece è da subito più chiaro di un cielo terso in estate, dall'intro Somnia al Woke up but you're still inside a bad dream con cui veniamo introdotti al disco: l'atmosfera è quella dell'incubo, la dimensione claustrofobica di una condizione da cui non si riesce a fuggire (The storm is moving closer/I wish I could get away; How did we get here, fog is so thick around us). Probabilmente il soundtrack autunnale definitivo per quest'anno.
Pro: è un disco con un'identità ben definita e sonorità decisamente internazionali, impostato su sfumature di uno stesso umore lungo tutto la sua durata, nonostante le varie progressioni all'interno dei singoli pezzi. Nota di merito per la cura dei suoni e la produzione eccellente.
Contro: l'intuizione della band è di non abbandonare totalmente il formato-canzone e, fatta eccezione per il finale di Dead End, le scansioni ritmiche sono quasi sempre incalzanti e le durate radiofoniche. Di per sè non sarebbero un male, ma se bazzicando la playlist post-rock ti aspettassi di trovare sinfonie monumentali alla Mogwai, potresti rimanere deluso.
3 | Yora Yora - ESC

È un beat quasi festoso di piano elettrico che ci introduce al primo EP della band laziale. La formula a base di synth vaporosi e ritmi da marcia sorregge un'attitudine che ha del giocoso e del coinvolgente, in controtendenza con le composizioni sospese e l'incedere talvolta funebre più tipici del genere. Marimbetta e Gargoyle trascinano in gorghi che, se non possono definirsi psichedelici, ispirano una vitalità esuberante che ricordano da vicino le intuizioni degli Errors. La gamma di sfumature della band non è tuttavia ristretta: le dissonanze di Balene aggiungono notazioni drammatizzanti; Dracula ha delle timbriche morbose e, appunto, goticheggianti; l'ultima traccia, Cesare (ndr. vi sfido a non sciogliervi al miagolio iniziale) rappresenta il momento più rarefatto del disco, ma è solo il preludio a una chiusura dal respiro glorioso. Post-rock sia per chi cerca sottofondi su cui settare le proprie meditazione, sia per chi necessita la spinta a ripartire, al di là di ogni retorica.
Pro: la predisposizione briosa e pumped up della setlist è quasi un invito a festa che promette atmosfere mesmerizzanti in sede live, non limitandosi a creare sfondi flat di facile presa.
Contro: il piazzamento sul mercato italiano di produzioni di questo tipo è particolarmente complicato. La condizione integralmente strumentale e il ricorso egemonico a suoni wavy tendono talvolta a condurre a uno stato di trance passiva più che a un ascolto attivo.
4 | Di Noi Stessi e Altri Mondi - Tutto Lascia Traccia

Non sono necessarie particolari doti empatiche per avvertire l'urgenza espressiva al di fuori dell'ordinario racchiusa nel secondo album della band bresciana. Il risultato di questo tsunami interiore è un disco che ricorda un Massimo Volume in tono più mesto ed elegiaco: meno accensioni noise, più tappeti lo-fi e atmosfere dilatate. È lo spoken word, ovviamente, a dominare: riflessioni sulla fugacità del tempo e sull'ineluttabilità della sua azione nel mondo che ci circonda, l'11 settembre come metafora della perdita dell'innocenza, il peso delle esperienze vissute e il lascito delle persone che si susseguono nelle nostre vite per poi scomparire. Il disco trabocca di poesia e talvolta di espedienti alla Sigur Ros (pianoforti tintinnanti e sviolinate avvolgenti). Un ascolto non facile, da affrontare rigorosamente nella solitudine della propria stanza, di certo non con superficialità.
Pro: arrangiamenti curati e perfettamente a tono con le lyrics. La scrittura è molto visiva, basata su immagini suggerite e correlativi oggettivi. Alla fine della fiera, il disco fa centro e veicola correttamente il messaggio che lo ispira.
Contro: è necessaria una certa predisposizione d'animo per accogliere onestamente questo album, qualsiasi altra attitudine rischierebbe di volgarizzarlo. Questo limite lo rende un disco per pochi e per alcuni momenti.
5 | Alysson - Ossa, Terra e Mare

Le sonorità post-rock nel primo album dei rodigini Alysson in realtà sono solo sfumature di un grande affresco che non ha alcuna remora nel manifestare l'imprinting congenitamente emo e post-hardcore. L'evocatività dei titoli (quasi un diorama di concetti bisillabici) e gli arpeggi sferraglianti alla Explosion in the Sky preparano il terreno a veri e propri anthem emo con tanto di controcanti urlati a squarciagola e breakdown da headbanging che riconducono all'esperienza di band come Quercia e Cabrera. L'attitudine auto-lesiva e disperata (Prendimi, strappami, non c'è più nulla da portare, sono l'ombra di un fantasma, un ricordo, uno spettro, una scia) cede il passo talvolta a momenti elegiaci di spoken word (Anya) e in altri a impeti persino screamo (Ossa, Terra e Mare). L'album dovrebbe suonare programmaticamente post-adolescenziale, ma l'elaborata progressione dei pezzi, interessati ad assimilare suggestioni disparate, lo rende un lavoro più maturo e non propriamente il più canonico sfogo da basement show collegiale.
Pro: i mantra di Nebbia e Scogli diventeranno inni giovanili con facilissima disinvoltura, sedimentandosi nella testa già solo dopo il primo ascolto. Cavalcate come Cara Camilla e È già Marzo sono già pronte a incendiare il delirio sotto il palco. Scelte raffinate di arrangiamento elevano la dimensione complessiva del disco.
Contro: non è necessario sottolineare che bisogna approcciare a questo album con altri filtri rispetto a quelli del più tipico post-rock. Alcune soluzioni melodiche tendono al "già sentito", associandolo a una via, quella del grande calderone emo, da tempo satura e congestionata in Italia.