Ragazze dell’alternative italiano. Una questione di genere?

Ragazze dell’alternative italiano. Una questione di genere?

Oggi le rock-band, e più in generale le band, stentano a ritrovare la visibilità mediatica che avevano monopolizzato per quasi mezzo secolo e la presenza femminile nelle vette delle classifiche è rappresentata per lo più da icone pop e in misura minore cantautrici. 'Niente di nuovo sul fronte occidentale', direte. E allora perché non interrogarsi sul ruolo giocato oggi dalle donne nella scena alternative? Senza la pretesa di tracciare un quadro esaustivo del fenomeno, scomodando i nomi più usurati del passato, ci si conceda solo di ricordare a titolo introduttivo come l’underground che si prese di forza i riflettori tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei 2000, i movimenti culturali riot e la spinta DIY giocarono un ruolo indiscutibilmente fondamentale in questa dinamica. La rilettura critica di quegli anni nell'ottica di genere (incoraggiata dalla proliferante trattatistica dell'ultimo decennio) ha chiarito come l'empowerment si sia espresso attraverso sheroes capaci di incarnare un vero e proprio ruolo propulsivo nell'avvicinamento dell’universo femminile alla musica di stampo più rumoroso e dissidente. La scena noise e shoegaze, in particolare, vanta una tradizione quasi avanguardistica in questo senso, soprattutto se confrontata con altri satelliti dell'universo rock (come ad esempio il prog, il grunge o l'hardcore).

Isa Holliday, bassista e cantante degli Slow Crush

Supportato senz'altro dalle prerogative del genere (per definizione un “rumore” introspettivo ed etereo che non si attaglia al machismo più irruento di altri filoni), lo shoegaze redivivo e rinverdito d’oltreoceano dell’ultimo quindicennio non ha tradito i mos maiorum e ci ha fatto conoscere musiciste a loro modo già diventate iconiche dell’immaginario gazer dei nostri giorni: da Natalie Lu (in arte Wisp) a Christina Michelle (Gouge Away e Nothing), da Alexandra Morte (ex cantante dei Whirr) a Isa Holliday (cantante-bassista dei belgi Slow Crush), o ancora da Alex Brady  (Julie) a Sonia Garcia (Glixen), fino alle Softcult o alle Gustaf per citare la scena più riot e di gordoniana memoria. E in Italia? 

Beh, malgrado il proverbiale ritardo nella gestione del gender diversity, per quanto riguarda almeno la scena musicale il nostro Bel Paese sembra recuperare qualche posizione e allinearsi quasi al trend globale. La recrudescenza noise e shoegaze italiana si è sviluppata accogliendo quasi per tempo la renaissance americana, prima ancora della sua esplosione su TikTok, e si presenta oggi come un panorama più o meno compatto in cui la componente femminile dichiara una posizione protagonistica tutt'altro che scontata. Si potrebbero fare i nomi di band già da tempo attive come Cosmetic, Human Colonies, Rev Rev Rev o Be Forest, ma noi abbiamo preferito (visti anche i limiti dettati dal genere dello scrivente, ormai prossimo a un processo per mansplaining dopo questa soporifera introduzione) invitare alcune delle più promettenti interpreti del momento a raccontare in prima persona il loro approccio alla musica, la loro esperienza personale all'interno del panorama alternative e un loro parere sulle possibili prospettive future di genere nel contesto italiano.

Elisa e Anita degli Ex-Diva, darkwave-shoegaze band romana attiva dal 2019

Elisa Maramma, cantante delle Ex Diva e prima ancora della girl band My Personal Disaster, ci ha raccontato il suo approccio alla musica, sospinto anche da personali fonti di ispirazione (da Roberta Sammarelli dei Verdena agli astri del dreampop come Elizabeth Fraser), e le sue impressioni sullo stato della gender diversity nella galassia dell'alternative italiano:

"Il mio approccio alla musica è stato molto istintivo e naturale, e con il tempo, trasferendomi a Roma, ho maturato una forte connessione con il post-rock, la dark wave, lo shoegaze e l'elettronica, che sento vicini alla mia sensibilità artistica. Avendo suonato sia in gruppi femminili che in mixed-gender band, ho potuto riscontrare sia pregi che difficoltà. L'impressione era non di rado, ad esempio, che almeno in Italia le donne venissero talvolta coinvolte in progetti musicali più per un valore 'scenografico' (si legga altresì 'fa figo') al di là del merito. Spesso ancora oggi ci si stupisce quando una donna dimostra di essere una musicista eccezionale. Questo atteggiamento complicava l'affermazione della propria voce all'interno di una band, perché a livello sociale c'era una sorta di 'vizio', che fortunatamente oggi si inizia a smussare grazie anche a strumenti che rendono più accessibile la possibilità di dar voce al proprio talento (home recording studio, social e piattaforme)"
I Six Impossible Things nascono a Lodi nel 2017

 In un momento storico in cui inclusività e rappresentazione rappresentano un terreno di dibattito in grado di sollevare vere e proprie guerre civili di pensiero, abbiamo trovato particolarmente significativo il feedback di Nicky Fodritto, cantante del dream pop-duo Six Impossible Things:

"Il mio primo ricordo legato al rock è 'American Idiot' allo stereo durante l'intervallo dell'ultimo anno delle elementari, ma la mia vera epiphany arrivò quando un mio compagno di classe (ndr. lo stesso che mi introdusse ai Green Day) portò a scuola 'Under my Skin'. Avril Lavigne mi aprì gli occhi sulla possibilità di fare musica e sul fatto che non fosse qualcosa prettamente maschile. Da piccola non avevo consapevolezza di questo bisogno, ma Avril come tutta la scena shoegaze, costellata più di altre da artiste donne, sono state determinanti per maturare una consapevolezza riguardo il mio posto nel mondo, prima ancora che per lo sviluppo dei miei gusti musicali. Mi piace ricordare un'intervento di Hayley William su Vulture (qui per l'intervista integrale) in cui, essenzialmente, sosteneva di non sapere se viveva il suo ruolo di musicista diversamente in quanto donna, perchè è semplicemente quello che è. Credo che tra le donne si sia sviluppata una consapevolezza sull'importanza del supporto reciproco perché sappiamo quanto sia difficile non sentirsi deboli e sole"
Fabiana Truzzu dei Novanta, band shoegaze-dreampop di Milano attiva dal 2013

Fabiana Truzzu, cantante della band milanese Novanta, tra gli inizi pop-punk e l'ammirazione per l'indipendenza e la libertà sovversiva di alcune figure femminili come Fiona Apple e St. Vincent, ci racconta il suo punto di vista sull'evoluzione negli ultimi anni del rapporto di genere nel mondo della musica:

"Il mio percorso musicale inizia con il pop punk, un genere a prevalenza maschile. Questo mi ha spinto a una forma di imitazione, rinnegando in parte la mia femminilità per sentirmi più integrata in un contesto in cui mi percepivo come 'altro' rispetto al canone. Da ragazze, nel mio primissimo gruppo, cercavamo di imitare i nostri idoli maschili; oggi comprendo che questa 'mascolinizzazione' era solo un goffo tentativo di adattarsi al contesto. Forse fin da subito cercavamo una ribellione contro le aspettative sociali, tentando in qualche modo di sovvertirle, ma finendo poi per cadere semplicemente in un altro stereotipo. Voglio essere ottimista e vedere nella scena musicale attuale un cambiamento positivo in atto. Ci sono sempre più donne protagoniste, non solo come musiciste, ma anche come produttrici, tecniche e figure chiave dell'industria. Ma non bisogna abbassare la guardia, dal momento che sussistono ancora numerose problematiche come il giudizio estetico, un nodo su cui ancora riflettere. Un tipo di valutazione che dovrebbe essere irrilevante rispetto al valore artistico, ma che continua a influenzare la percezione delle donne nella musica"
Irene Moretuzzo dei Glazyhaze, dreampop band formatasi a Venezia nel 2021

Per un diverso punto di vista, anche generazionale, introduco Irene Moretuzzo, cantante e chitarrista dei Glazyhaze (freschi di singolo appena rilasciato), che delinea la sua esperienza da musicista e i suoi riferimenti (Adrianne Lenker, Björk, Mitski, Pj Harvey, Rachel Goswell), fondamentali a indicarle una via di espressione per la propria individualità:

"Il mio approccio alla dimensione rock è stato piuttosto casuale e lo devo soprattutto ai Glazyhaze. Scrivevo moltissimo, ma ero distante da questo mondo, orientandomi più verso il folk e il jazz. Solo dopo aver incontrato Lorenzo (ndr. chitarrista dei Glazyhaze) ho scoperto come il mio stile intimo e delicato poteva fondersi con sonorità distorte e intense. Si potrebbe dire che ho iniziato a suonarlo prima di ascoltarlo o comprenderlo per poi risalirne alle radici solo in un secondo momento. Il fatto di essere donna non ha influenzato particolarmente la mia esperienza come musicista, tuttavia non posso ignorare che la maggior parte delle iterazioni nel settore avvenga quasi esclusivamente con uomini. Non che questo costituisca un disagio per me, ma ritengo auspicabile una maggior partecipazione femminile, oggi ancora sottorappresentata sia tra i musicisti che tra le figure del settore, per un arricchimento del panorama musicale, creando un ambiente più stimolante e nuove prospettive. Credo fermamente che la presenza femminile nella musica sia destinata a crescere. È una strada ancora in evoluzione, ma il cambiamento è già in atto"
Margherita Mercatali, chitarrista dei Mondaze, band formatasi a Faenza nel 2018

Margherita Mercatali, chitarrista dei Mondaze (recentemente hanno pubblicato il loro secondo album), ripercorre la sua evoluzione musicale, dai primi approcci in famiglia (padre, fratello e zio musicisti e appassionati di rock) fino alle icone di Mtv nella sua adolescenza (Sheryl Crow, Alanis Morissette, KT Tunstall), per spiegare l'importanza della rappresentatività:

"Vedere ragazze esprimersi attraverso la musica mi ha dato quella spinta che forse mi era mancata fino ad allora. La rappresentanza femminile è fondamentale, soprattutto come fonte di ispirazione per le nuove generazioni come lo è stata per me. Forse anche a livello inconscio, al punto che se guardo la mia libreria, mi accorgo che buona parte delle band che ascolto ha al suo interno membri femminili, e non è una cosa deliberata. Odio quando spesso prima del soundcheck mi chiedono se sono la cantante o la bassista, una domanda indicativa del fatto che certi stereotipi sono ancora presenti, anche nell'underground. Percezione che però devo dire è sempre meno forte tra i 'più giovani'. Forse un po' per tutti questi motivi sento come di dover dimostrare maggiormente quello che sono e quindi dare sempre quel qualcosa in più ogni volta che suoniamo. Ho visto però un'evoluzione significativa: fino a 10 anni fa, le band erano per lo più maschili e mi ritrovavo ad essere l'unica ragazza, ma negli ultimi tempi vedo una maggior partecipazione in tutti gli aspetti della scena musicale"
Simona D'Aguanno degli Vera Slö, shoegaze band del Lazio attiva dal 2023

In conclusione lascio la parola a Simona D'Aguanno, cantante e bassista, nonché mia bandmate nei Vera Slö, progetto shoegaze che condividiamo da quasi due anni, che ci parla di un diverso background formativo:

"Ho iniziato a suonare sin da piccola con mio fratello e i miei riferimenti erano prevalentemente maschili. Personalmente, durante l'adolescenza non mi sono mai posta la questione della diversità di genere in ambito musicale, dal momento che ho sempre inteso il mio ruolo solo in quanto musicista, considerando la mia identità ininfluente. Suonando in diversi gruppi, ho potuto constatare come le donne vengano spesso percepite, se non come un'eccezione, quasi come una singolarità e questo incide sotto diversi punti di vista, soprattutto relazionali. Spesso si percepisce una disparità di trattamento tra un musicista e una musicista, sia in senso positivo che negativo a seconda dei casi, e talvolta entra in gioco anche un giudizio estetico (sebbene in ambito non mainstream tutto sia relativamente più meritocratico). Sebbene ci sia ancora molto da fare, credo che diversi tabù siano stati sdoganati e che la via verso una più completa parità si stia aprendo all'orizzonte"

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