Ricche le Mura - Un ragno, il suo uovo e noi dentro

Ricche le Mura - Un ragno, il suo uovo e noi dentro

Mi chiedevo se fosse possibile valutare il secondo lavoro dei Ricche le Mura senza considerare tutto il carro allegorico che i cinque valtellinesi hanno voluto imbastirci attorno. Perchè, se da un lato non possiamo esimerci dal riconoscere la bellezza cinematica della fotografia di Bianca Peruzzi, dall'altro ci sentiamo di poter dire che, anche senza tutto il corredo di sottotesti estetico-simbolici a intellettualizzare i 12 brani della setlist, l'opera risulterebbe ugualmente un disco alt-folk che, messo nelle casse, ti chiede di abbracciare le sue vibrazioni con stretta fraterna (e non "come una tagliola") senza necessità di decifrarle. L'idea alla Sgt. Pepper's del resto non è nuova: adottarono qualcosa del genere (senza dover risalire nella genealogia a Ziggy Stardust) anche i Coldplay di Viva la Vida in veste da rivoluzionari, mentre qui i nostri si richiamano a una dimensione boschiva, una sorta di Thule che, pur senza bisogno di costumi, si insinua quasi in ogni punto del disco.

Sono ballate intrise di abbandono febbricitante e disperazione agrodolce, filastrocche nervose, marcette ipnotiche, che attingono molto dall’indie nostrano. Si parla di cambiamento e trasformazione, del perenne desiderio di esplorare oltre i confini conosciuti. C'è un gusto retrò nel radioso sunshine pop di Tagliola, probabilmente il momento più divertente del disco; si sparano a tutto volume, coi finestrini aperti in strada, le schitarrate uptempo di Chiù; si ammicca perfino agli Smiths in Ragazzo Betulla e a Bon Iver in Sei quello che rimane; la title track si chiude con un'orchestrale sbilenca di ispirazione beatlesiana (A day in life). La scrittura affonda in un immaginario simbolico, nelle idee probabilmente quasi mitologico, ben oltre le facili citazioni a Kurosawa, dispiegandosi a tratti così visionaria da voler celare il suo significato più intimo all'ascoltatore passivo. È un disco colto, si direbbe artsy, ambizioso nella forma, ma al tempo stesso arioso e apparentemente lieto e spensierato. Ai più sembrerà un paradosso, ma non lo è affatto.

Il ciclo vita-morte, passato-futuro, è un continuo divenire e la vera libertà sta nell'abbandonarsi a questo fluire: in questo tema risiede probabilmente l'essenza del concept album, come "il cervo che ha perso un corno che ricrescerà in tempo per la caccia". Allo stesso modo, è abbandonandosi alle onde carezzevoli del disco, tutto chill e contemplazione, che si scorge la corretta chiave di ascolto dei suoi 45 minuti. È il soundtrack adatto per arredare il proprio angolo di comfort, dove rintanarsi coi propri sentimenti e proteggerli da contaminazioni esterne, come un ragno, il suo uovo e noi dentro. In poche parole, un'originalità di cui si sentiva da un po' la mancanza in Italia.


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