Sanlevigo - Spettri

Sanlevigo - Spettri

Potremmo partire in medias res parlando dei dark sides del progresso e le criticità che ogni giorno la modernità ci mette sotto gli occhi, tutti temi intimamente contenuti in questo disco. Ma il pregio più rimarchevole nel sophomore dei Sanlevigo risiede probabilmente, ancor più che nell'urgenza creativa - del resto già ben visibile nella sofisticatezza di Un Giorno all'Alba -, nella capacità di far suonare vibrazioni così scopertamente âgée come se fossero l'ultima frontiera dell'industria musicale, dando nuova linfa a un genere di riferimento che in altre attuali produzioni revivalistiche comincia a risuonare un po' stantio. C'è la new wave dei New Order, le ritmiche joydivisioniane, persino le atmosfere più rarefatte alla Interpol, tutte vibes retrò addomesticate e riassemblate in una patina che oserei definire indie, ma che rimontano per lo più alle riletture, anche nelle più recenti uscite, di band come i Placebo.

Alienazione, falsi idoli, l'egemonia della tecnologia, la mercificazione di tutto; una voce ci introduce al soma, la droga euforizzante che garantiva la stabilità sociale nella distopia di Huxley. La componente socio-politica di Spettri è intensissima (anche se non proprio inedita) e neanche vagamente dissimulata; si intreccia con il vissuto personale e biografico, restando sempre in bilico tra denuncia e introspezione. Elucubrazioni artistiche così misurate al millimetro tendono di solito all'artificiosità, ma il quartetto romano riesce a equilibrare le componenti conferendogli un'autenticità per nulla scontata in partenza. Al di sotto del paradigma lirico però cosa rimane sottopelle? senz'altro gli arabeschi nel finale di Monotonia; il Tuuu di subsonichiana memoria in Spartisci la Folla; il perfetto refrain da ballad dulci-struggente all'italiana in Nuova Cenere; l'intro quasi in odor di coldwave di Piccoli Cannibali, a tratti riecheggiante i Molchat Doma. La formula vincente in questo senso sta proprio nell'essere comunicativi senza risultare sterilmente intrattenenti, impegnati senza diventare impegnativi, accessibili ma non "a buon mercato".

Spettri è un disco che rispetta le regole dei generi, guardando anche alla contemporaneità rappresentata dai Fontaines D.C. Costruisce un'importante impalcatura concettuale, ma evita abilmente di sfociare nella gravezza cattedratica del cantautorato puro. Lo scarto col predecessore, un disco ancora molto - passatemi il temine per quanto apparentemente sdegnoso - "italiano", è piuttosto notevole ed è sorprendente come la filigrana dell'attuale setlist traspiri, anche nei momenti più intimistici, il suo tempo storico: quello della società del burnout, post-caduta del mito del "progresso infinito", quella dei desideri imposti attraverso algoritmi e dividi et impera.

"Il progresso che attendevamo oggi è il nostro inferno privato"