Segnalazioni dal mondo

Segnalazioni dal mondo

La nostra linea editoriale, avrete potuto facilmente constatare, è prettamente Italy-oriented (al netto di qualche anglicismo di troppo come questo, cui ricorro sovente per svecchiare il mio eloquio nell'irriducibile tentativo di esser accettato dalla Gen Z). Tuttavia la casella mail è ciclicamente visitata da segnalazioni internazionali, spesso annegate nell'ingorgo epistolare. Qua e là, anche solo per mera curiosità, riesco a recuperare qualche ascolto e degustare le proposta in giro per il mondo. Vi porto qui dei campioni all'attenzione.


1 | Kadavar - I Just Want to be a Sound

Converrete con me che partorire 7 album in poco più di un decennio sia già di per sè un fatto piuttosto eccezionale per l'era geologica in cui ci troviamo. Meno eclatante, invece, che una band cementatasi nel segmento di mercato degli psycho-heads anni '70 e cresciuta fino a strabordare le pareti di quella stessa nicchia, decida di virare verso un sound più mainstream (non mi sbagliavo quando presagivo l'astio bruciante dei magazine metallari per questa svolta). È forse con meno radicale pregiudizio e rancore che mi approccio al nuovo lavoro dei berlinesi Kadavar, apprezzandone le radici kraut sin dall'intro della title track e la psichedelia (più ipnagogica alla MGMT e meno allucinata rispetto alle loro radici stoner) che incrociano le ambizioni radio-friendly, generando una terza via che potremmo grottescamente definire stoner-pop. E così, tra qualche ammicco agli All Them Witches, qualche vaga ispirazione ai Flaming Lips e addirittura delle ballad scopertamente floydiane, giungo all'epilogo con alcune riflessioni. Chi è il destinatario di questo disco? Difficile spiegarlo razionalmente. D'altronde se mi aspetto un trip vellutato ho i Tame Impala e tutto il filone aussie; se cerco un prodotto-feticcio moderno che suoni come 50 anni fa, I Just Want to be a Sound mi deluderà in partenza; se voglio una botta adrenalica, si rivelerà invece probabilmente troppo soft. Non che il disco suoni male, anzi, tutt'altro; ma non mi sorprende che abbia disatteso le aspettative di fan e ambienti orbitanti.


2 | Illuminati Hotties - Nickel on the Fountain Floor

Due info di contestualizzazione (che del resto potete trovare ovunque): Illuminati Hotties è il progetto della produttrice californiana Sara Tuzdin (classe '92); il loro recente full lenght, Power, è stato inserito nella top 100 del 2024 da Rolling Stone; il loro approccio alla scrittura si auto-definisce "tenderpunk". Il nuovo EP è decisamente tender, un po' meno punk. Difficile immaginare una predisposizione più radiofonica degli appiccicosissimi ritornelli di 777, meticolosa rivisitazione degli spot alt-pop anni '90 di Mtv (un po' New Radicals o Third Eye Blind per intenderci). Le cose più punk si intravedono in Wreck my Life (in duetto coi PUP) e Skateboard Tattoo, ma è comunque ribellismo zuccheroso che non si prende neanche sul serio, power ballads adolescenziali e scanzonate che rimontano alle eroine post-grunge come Avril Lavigne o Michelle Branch. Si stacca appena dalla setlist una ballad dreamy come Hollow, condita da loop di synth e accordi a cinque dita: insomma, rieccoci qua, di nuovo gli anni '90. Vent'anni fa un disco così sarebbe stato liquidato con epiteti come "commercialissimo" o "teen"; oggi la questione diventa più sfaccettata. Gli ex capelloni degli anni 2000 (che in molti casi lo sono ancora oggi), nemici giurati di quell'industria musicale, probabilmente inorridiscono ancora, senza che il tempo abbia ammorbidito di una virgola il loro giudizio; gli ex-haters (solo di vulgata) forse gongolano davanti al ritorno di sonorità più familiari; la gen Z (e non ne faccio parte) può darsi si sia già affezionata a certe sonorità con Olivia Rodrigo, o magari ci rivede in controluce una parabola all'Orietta Berti, inserita nel programma di ringiovanimento forzato dal dott. Fedez.


3 | Terraplana - Natural

Quando sulla scena compare un nuovo disco shoegaze, uno dei commenti più scontati che ti capiterà di leggere è senz'altro: "bello, ma derivativo". Non che non abbia senso, ma nulla di identificativo che non possa venir applicato a 9 gruppi su 10 fioriti nell'ultimo decennio. I rivoli in cui si è diramato il gaze a seconda delle inclinazioni (metal, pop, post-punk) scontano la discendenza da un recinto sonoro fortemente codificato e ristretto che poi, alla fin fine, non concede così largo spazio alla sperimentazione. Ora, una band brasiliana, tutta saudade e accordi maj7/sus9, che suona shoegaze sembrerebbe un'alchimia talmente perfetta da sconfinare nel meme. Eppure i Terraplana di Curitiba esistono davvero e sono al loro sophomore album. Se siete fan del genere, non serva che vi dica altro per invogliarvi a tuffarvi nella svenevole malinconia di queste melodie carioca; da profani, invece, vi posso dire che qui, oltre ai classici del genere, ritroverete i Sonic Youth di A Thousand Leaves, gli Slint e anche lo slowcore ovattato dei Duster. Onestamente, in barba ai vari giudizi di derivatività ed emulazione, trovo al contrario che questa band abbia un'identità ben definita (e il fatto dovrebbe fare ancora più rumore se pensiamo alla schiera di cloni che hanno fatto irruzione sulla scena dreamy nell'ultimo decennio).


4 | Vivienne Eastwood - Take Care

Il nome dovrebbe rappresentare un gioco di parole, una sorta di crasi tra la madrina dell'estetica punk anti-establishment, Vivienne Westwood, e l'iconico cinismo di Clint Eastwood. Figo sì, ma insomma, una responsabilità pesantina con pericoloso effetto boomerang, soprattutto se le aspettative di anti-convenzionalismo e self-assurance che quell'immaginario reca vengono disattese. La band di Brooklyn si era già fatta notare nell'ambito dreampop grazie a due EP, di cui soprattutto l'ultimo, Shook, aveva riscosso pareri particolarmente favorevoli. Forti dei feedback, esordiscono su un full lenght che molto deve alla lezione degli Slowdive, alle chitarre lucenti di certo slacker che tende più allo scanzonato che al malinconico, ai loop elettronici del glitch pop. Tutto, ovviamente, impastato nella più tradizionale foschia sonora tanto cara al genere e per cui si è parlato talvolta (tra buontemponi sia chiaro, non in sede critica) di vaporwave per boomer. Originale? In questo caso mi sento di dire di no: Take Care è un po' un cocktail che prende diversi ingredienti da tutta la scena senza che se ne possano più davvero distinguere i sapori. Solito discorso: se siete avvezzi al genere, il disco scivola giù che è una bellezza e finisce anche per esaltarvi; ai profani, curiosi di fare una ricognizione nella scena per misurarne l'attuale temperatura creativa, non lo consiglio.


5 | Planning for Burial - It's Closeness, It's Easy

Probabilmente uno dei pochi casi moderni per cui è ragionevole spendere ibridazioni posticcie come doomgaze o ambientcore. Planning for Burial è il progetto solista dello statuintense Thom Wasluck, in attività praticamente dal 2009 con già diversi album nel catalogo. Il quinto capitolo non spezza il percorso fin qui intrapreso, riaffermando grossomodo quanto espresso nelle precedenti uscite, ma vale la pena spendere qualche parola sulle coordinate stilistiche per chi non si fosse mai approcciato alla sua discografia. Planning for Burial basa il proprio suono sui pesanti e cavernosi tonfi doom amalgamati in un ensemble droneggiante e atmosferico che vira verso il blackgaze, avvicinandosi a band come Jesu. La formula è da equilibrista e si rivela vincente perchè riesce a trasmettere sentimenti angosciosi senza sfociare nè nella disperazione post-hardcore o screamo, nè nella malinconia consolante dello shoegaze. Nel caso specifico di It's Closeness, It's Easy, la foggia bituminosa e temporalesca, per quanto efficace e al netto di qualche rincalzo di xilofono post-rock qua e là, non riesce a giustificare da solo gli otto anni che lo dividono dal suo predecessore, Below the House (questo sì decisamente più comunicativo), rischiando di risultare un prodotto un po' di maniera. Poi certo, l'urgenza espressiva è quasi sempre palpabile e anche all'interno di una scaletta così prevedibile, pezzi come With you Sunglasse on like a Ghoul finiscono per farti venir voglia di uscire sotto la pioggia e guardare il cielo per espiare i tuoi peccati.


Altro