Segnalazioni di marzo

Mi sono preso un po' di tempo per ascoltare dischi rilasciati nelle ultime settimane e abbozzare come sempre alcune considerazioni. Ma mi sono preso un po' di tempo anche per trovare il modo più innocuo di indorare la pillola e ammettervi che i tre album che vi porterò all'attenzione in questo contributo si amalgamano tra loro come il tuorlo crudo, il tabasco e la salsa Worchestershire in un prairie oyster. Un cocktail strano, di certo controverso, che difficilmente berrei in condizioni psico-fisiche non alterate, ma che Iddio ne preservi lo statuto in nome della bio-diversità musicale. Eccovi quindi tre segnalazioni necessarie per questo mese.
1 | NoDRIP - Bonus Tracks

È come se chi, sedendosi brechtianamente dalla parte del torto, avesse prescelto nello ska punk e nel breakbeat il medium adatto alla propria denuncia. Frustrazione avvilente, disillusione, sdegno, ma anche spirito di rivalsa filtrano da queste cinque tracce (sei, se consideriamo la versione alternativa di Marte). Marameo in apertura e poi Non c'ero sono un manifesto in questo senso, un'accusa di incomunicabilità tra classi sociali, tra centro e periferia, tra yuppies e subalterni, tra un'élite che "piange e fotte" e un paese reale anestetizzato da "overdosi da social". Tirarsi fuori da questo orrore, che sia dichiarandosi socialista e non social o emigrando su Marte (come suggerito dai diversi featuing del disco: Ted Bee, Attila, Andrea Rock), ha un'impellenza prioritaria rispetto a qualsiasi proposta di via d'uscita. Nello spirito è un disco alla Banda Bassotti, anche se certo, l'invettiva è meno politicizzata e i bersagli non meglio definiti, ma soprattutto il sound risulta meno grezzo e la produzione di più largo consumo. L'impeto riot, anche se non enfatico, è presente e palpabile, senza esimersi comunque da una vena festosa e goliardica, ben chiara in pezzi come Non Dura. Un lavoro onesto e diretto, orgoglioso della sua autenticità, a cui mi sento di controbattere per un solo verso: purtroppo no, il mercato musicale è talmente omogeneizzato che allo stato attuale, a mio avviso, la massa non sa riconoscere il paludamento di artisti fake as fuck.
2 | Laid - Frames

La partita dei bresciani Laid in questo loro album d'esordio si gioca tutta attorno a melodie spiccate, alla voglia di costruire un indie rock con ritornelli dotati di hooks melodici pronunciati, con giri di chitarra e basso vivaci pur senza velleità protagonistiche. Il tutto è intriso da emozione pura e sincera espressione dei sentimenti, ma al tempo stesso da un evidente intento di risvegliare una tempesta emotiva nei fruitori attraverso testi chiari e relatable (lo scorrere del tempo, i rimpianti, la voglia di rivalsa), giustapposizione di arpeggi intimistici (Frames, Unbound) a sezioni dinamicamente energiche, e cori alla Kings of Leon (Realign, Ghost in the Shell). Brillano nella setlist la delicata ballad Mare's Nest sulla caducità delle cose, pronta a far versare lacrime a ogni singolo baluginante strumming, e l'anthem con carica quasi arena rock di Here I Am. Il disco forse non svetta per audacia di arrangiamenti e soluzioni fuori dagli schemi, ma si distingue per un songwriting garbato e una produzione pregevole fin nelle distorsioni 'neomelodiche' (ovviamente non inteso nel comune senso geolocalizzato). Senza particolari difficoltà riesco a immaginare una folla di 20enni portare liturgicamente gli accendini in alto sul finale di Realign.
3 | Coleen - Three Steps Forward

Breve ma intensissimo l'ep di Coleen, al secolo Simon Colin Giorcelli. Tre tracce per 10 minuti complessivi divisi tra intuizioni di songwriting boniveriano e sonorità folktroniche ambiziose (probabilmente c'è anche un po' di ascolto radioheadiano). Una chitarra ronzante che si insinua tra le tessiture di arpeggi acustici, controcanto sghembo a una voce uggiosa che dispensa love stories malinconiche; una sonata notturna ricca di soulfulness che strizza l'occhio alla tradizione black; una schitarrata dal piglio Southern per cuori feriti. Un'opera complessivamente di fioretto che non lascia trasparire macchinosità o affettazione alcuna, di un'intimità quasi religiosa. Un messaggio, come fecero a loro tempo e a loro modo anche artisti come Colombre e Dente, all'industria del pop italiano: esiste una via alternativa ai mefistofelici jingle delle radio, probabilmente meno d'impatto immediato, ma capace di penetrare più a fondo nelle corde emotive; forse dalla monetizzazione meno comoda, ma di certo umanamente più fruttuosa.