Sul contaminarsi, la comunità DIY o "MAKE SHOEGAZE GREAT AGAIN!" - Intervista ai TAGABOW

Sul contaminarsi, la comunità DIY o "MAKE SHOEGAZE GREAT AGAIN!" - Intervista ai TAGABOW

Devo essere sincero: è da un bel po’ di tempo che, interfacciandomi con la redazione, giuro e spergiuro di scrivere qualcosa su questa band e l’ondata di nuovo alternative che da qualche anno popola la costa Est del paese più democratico dell’Occidente. Quello che non avrei mai potuto immaginare è che avrebbero varcato i confini nazionali, preso un aereo, attraversato l’oceano per portare la loro musica qui in Europa e, contestualmente, mi avrebbero costretto a riprendere quella vecchia idea diventata ormai eco nella testa dei miei colleghi. I They are Gutting a Body of Water (al secolo TAGABOW) sono tra i contemporanei in cui più riconosco una linea di continuità con lo shoegaze duro e puro degli anni ’90, quello della rinascita degli anni ’10, e al contempo ne scorgo la sua evoluzione, il passo successivo (i DIIV hanno avuto da dire sulla questione, ma lo affronteremo dopo). Attraverso contaminazioni elettroniche, campionamenti, breakbeats e voci pitchate, i TAGABOW stanno dando nuova vita al genere, ascrivendosi alla lista dei must listen per i fan dello stesso. Dalla Philadelphia di Rocky fino al Lark di Berlino, Douglas Dulgarian (fondatore del gruppo) mi ha concesso qualche veloce domanda dopo il concerto affrontando i temi di comunità musicale, DIY e evoluzione sonora della band, con più di qualche spoiler sul nuovo progetto.


La prima domanda è sul tour: è la prima volta che portate la vostra musica fuori dagli Stati Uniti e questo (ndr. Berlino) è l’ultimo show. Quali sono le vostre considerazioni? Com’è stato?

Doug (voce, chitarra, elettronica): “Com’è stato? Beh… forse ci siamo resi effettivamente conto di quanto la situazione sia pessima negli States (ndr ride). E’ stato meraviglioso! Qui in Europa ti ospitano, ti danno da mangiare. E’ stato bello poter portare la nostra musica fuori dagli Stati Uniti.

La scena alternativa US dell’East Coast sta portando alla luce una moltitudine di nuove band, energie e contaminazioni, e voi siete diventati una delle colonne portanti di questo piccolo tempio punk e DIY. Vorrei sapere come percepite la scena musicale undeground di Philadelphia e come vi ha influenzato come musicisti.

“L’aria che si respira Philadelphia nella scena underground è molto amicale, se conosci una persona le conosci tutte automaticamente. E’ importante perché alla base c’è un grande senso di comunità.”

So che gestisci un’etichetta DIY indipendente chiamata “Julia’s War” (che ha prodotto band come Her New Knife e Wednesday). Potresti raccontare la tua esperienza come fondatore e condividere i tuoi pensieri sull’attitudine DIY nella scena musicale: secondo te è una maniera di “hackerare” il mercato musicale attraverso l’ibridazione e il rafforzamento delle radici più underground?

“Assolutamente no. La scena musicale più legata al mercato si contrappone totalmente alla scena DIY, sono due cose che non possono comunicare tra loro. Fondamentalmente perché la prima ha come obiettivo principale il guadagno mentre la seconda quello di organizzare eventi, rilasciare musica a scopo totalmente aggregativo e sociale. Il punto principale è passare del tempo di qualità insieme alle persone con cui condividi una passione fortissima.”

Da appassionato di musica elettronica sono sempre stato attratto dalle vostre contaminazioni. In questo senso i vostri live set mi hanno sempre dato l’impressione che, dal nulla, apparisse una rock band durante un gigantesco rave techno e questa fantasia vi si addice pienamente, sia musicalmente che esteticamente. Qual è la vostra relazione con la musica elettronica e la comunità rave? E’ stato naturale inserirla nei vostri brani?

“E’ stato abbastanza naturale inserire l’elettronica nel progetto sia perché non sono il tipo di persona che riesce a parlare davanti a una folla di gente tra una canzone e l’altra, sia perché ho sempre prodotto individualmente musica elettronica. Allo stesso tempo penso che specialmente lo shoegaze sia intrinsecamente legato alla musica elettronica perché sono entrambi filoni musicali che hanno condiviso la stessa epoca nella scena musicale UK in termini di nascita ed evoluzione. Non credo che avrebbero avuto lo stesso percorso di crescita, l’uno senza l’altra, perciò ha avuto perfettamente senso per me unire le due cose.”

So che non vi è mai piaciuta la sola etichetta “shoegaze” per definirvi musicalmente ma, senza ombra di dubbio, questo è il genere che più vi si addice e che più avete influenzato in America. In una video-intervista per Louder Videos, la band shoegaze americana DIIV ha inserito "Destiny XL" tra i 5 album essenziali da ascoltare del genere shoegaze. Cosa ne pensate di questa affermazione?

“Sono cresciuto ascoltando i DIIV, abbiamo fatto un tour in giro per l’America con loro. Sono delle persone meravigliose, supportano parecchio gli artisti della scena alternativa.”

“Comunità”, infatti, è una parola che mi viene facile associare a voi a causa delle numerose collaborazioni con altri artisti nel vostro progetto personale tramite cui continuate a nutrire l’undeground con nuova linfa (penso allo split con i Full Body 2EPCOT” o il brano “ana orint” con gli Sword II). Volete fare qualche shout-out di progetti che vi stanno piacendo al momento?

“Assolutamente: A Country Western, Snoozer, Hooky, fib... Mio dio, ce ne sono troppi! (ndr ride) Ovviamente i Full Body 2. Penso possa andare per adesso.”

Ultima domanda. “AMERICAN FOOD” è chiaramente il preludio di un progetto più esteso. Potete dirci qualcosa in più? Cosa dovremmo aspettarci da questo nuovo lavoro?

“Di base è un disco rock, che probabilmente era quello a cui volevo arrivare da sempre… sono praticamente solo riff! Ho riflettuto tanto su come, sedendomi davanti al pc e focalizzandomi tanto sull’ibridare con l’elettronica, io avessi perso totalmente il senso della musica rock. Ho deciso quindi di tornare a quel nucleo generatore, il disco si baserà totalmente su questo: quattro persone in una stanza, parte tutto da questo ed è questo che esprime. AMERICAN FOOD in quel senso è totalmente fuorviante, è il singolo che anticipa l’album ma per il resto sono solo brani rock.”