Suoni distanti, sentimenti vicini

Suoni distanti, sentimenti vicini

Come mettere la pizza col caviale, Greta Thunberg su un SUV, Putin al Pride o Renzi e Calenda di nuovo insieme. Non siamo nuovi su queste pagine ad accostamenti eterodossi di simile tenore, convintamente persuasi che la musica sia una questione di sentire profondo, più che di "dialetti". E così vi presentiamo nello stesso articolo due EP superficialmente agli antipodi: il debutto dreamy folk di Maju, tanto diafano quanto crepuscolare, e il sequel midwest emo degli Adelaide, spigoloso e post-adolescenziale. Qui di seguito qualche considerazione:


Maju

Still Becoming

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Un folk esangue e dalle tinte sognanti che gioca più per sottrazione che per stratificazione, sempre guidato però dalla grazia di una penna che, al netto di qualche verbosa tentazione cantautorale, riesce a conservare il lato più arioso del genere. Maju è il moniker di Maria Giulia Mapelli, cantautrice bolognese e figlia d'arte (la madre era già cantautrice, tiene a specificare). Ama sperimentare e tentare nuove strade, come racconta nella sua bio e come suggerirebbe anche il titolo di questo EP d'esordio ("Ancora in divenire"). Fotografie di un cambiamento ("Lasciami sola, non vedi che cerco qualcosa di nuovo?") e di fiducia nell'azione del tempo ("Il tempo mostra, se gli dai tempo") che, con un certo tratteggio nebbioso, tentano di imbastire un'atmosfera notturna da film. Ninne nanne eteree dalla sobrietà cameristica accompagnate da un cantato soffice e ovattato alla Joni Mitchell. Introdotto da un celestiale opening che ricorda le whispered ballads di Sade, il disco regala inebrianti melodie angeliche come se arrivassero dalla cornetta di un vecchio telefono, ritmi dalle cadenze jazz e strumming acustici per riunirsi davanti a un falò. L'idea è antica e l'impressione è che l'opera voglia conservare quest'aura retrò, benchè le sonorità siano (intelligentemente) filtrate attraverso le logiche della più moderna produzione discografica.


Adelaide

Fanti

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La voce irrequieta di un bambino iperattivo, lo stesso verosimilmente in copertina, in procinto di lanciarsi impunito a kamikaze dallo scivolo di un parco sotto gli occhi sgomenti del padre. Il filtro fotografico retrò a conferire verve nostalgica all'insieme. Gli ingredienti rispecchiano perfettamente gli intenti di questo primo EP degli Adelaide (anche se in realtà non si tratta di un esordio; il loro primo album, Insomma è stato rilasciato due anni fa sempre per Kosmica Dischi). In pieno spirito midwest emo, il quartetto massese fotografa il disagio di mezzo tra la nostalgia infantile e l'ansia del crescere, assumendo le situazioni quotidiane dei primi 8 anni di vita quali metafore della fragilità adulta. E così le paure più puerili diventano le stesse dell'adultescenza, si fanno metafisica, e il terrore “del restare solo in mezzo alla coda del supermercato” non appare più improvvisamente un fatto così risibile. Il tono scanzonato ai limiti del bettoliero affilia il disco in maniera piuttosto lampante alla temperie italiana dei Verme e dei Riviera, ma il leitmotiv di base, inseguito e ricercato fedelmente in un quasi-concept album, giustifica e avvalora la scelta del formato "short" dell'EP, conferendogli un significato ben al di là del mero "biglietto da visita". Da segnalare la risposta underground all'Hübner calcuttiano, da aggiungere all'elenco dei tributi agli ultimamente tanto in voga bomber di provincia: il featuring coi Renàra in Stefan Schwoch.