Talk to Her - Pleasure Loss Desire
La patente di Editors italiani gli è stata affibiata praticamente dal giorno zero, e in effetti sia il biglietto da visita, Home, che il disco d'esordio, Love Will Come Again, non lasciavano troppo spazio a deviazioni della parabola. Cos'è cambiato però nel mentre? Beh, tornare sulla scena dopo aver rilasciato per l'ultima volta musica inedita appena qualche settimana prima della deprimente stagione dei lockdown significa necessariamente attingere da un carnier piuttosto carico. Anche perchè di cose nel mondo ne sono successe un po' da allora e ignorarle diventa un atto quasi inconcepibile, soprattutto laddove il tuo universo di riferimento si chiama post-punk. Se il mondo esterno però minaccia apocalisse ogni tre per due, i Talk to Her pensano (giustamente e in pieno stile joydivisioniano) di ritornare all'individuo, che si relaziona sì con lo spazio, ma che prima di tutto fa i conti con sè stesso e con l'eterno e immutabile ciclo di autodistruzione del suo spirito: "Piacere, perdita, desiderio".

Una setlist di dieci brani glaciali che stilisticamente non spezza troppo con quanto propostoci dalla band padovana nell'era pre-pandemia, ma che riafferma innanzitutto l'impatto culturale di certe recrudescenze dark nel contesto socio-politico odierno (ne avevamo già accennato nella top 10 di ottobre), e in secondo luogo spinge il quartetto verso lidi meno danzerecci (a differenza di collettivi dello stesso giro che non hanno abdicato alle mire da dancefloor come gli Edna Frau nemmeno nella loro ultima uscita). Quali spunti degni di nota da questo album? Sicuramente l'opening quasi in zona coldwave, a metterci sull'attenti con quell'ondata di synth in un'atmosfera che da subito si mostra lugubre e allarmista; la bellissima e interpoliana Dyve; le feedback guitars (queste sì, decisamente alla Editors) di No Sound Remains; un ripasso quasi letterale delle radici macclesfieldiane su In Echoes; l'intermezzo claustrofobico di Someone Else.

Probabilmente non si è voluto osare troppo in fase di scrittura alla ricerca di qualcosa che deviasse dalla Regola, ma la coerenza della scaletta è qui massiccia. Entrano in gioco pad vaporosi, si affacciano synth sinistri, si alternano ritmi labirintici a sezioni più dritte, ma l'impressione è che il suono di riferimento sia solo uno che si propaga dalla prima all'ultima traccia. Risultato mai scontato, soprattutto se l'intenzione è ondeggiare tra il contesto "conviviale" da club e il più introspettivo ascolto notturno e solitario. Pleasure Loss Desire è un jolly che riesce a comunicarti lo sconforto senza contagiarti.