Top 10 singoli giugno 2025

Top 10 singoli giugno 2025

Rieccoci di nuovo alla consueta classifica mensile dei singoli. Nell'arco di tempo che ci divide dall'ultima uscita si sono solo avvicendati una guerra civile salottiera post-referendum, una crisi internazionale con effettiva tensione bellica, un decreto sicurezza entrato in vigore e subito poi bocciato, e una vertiginosa escalation termica (che da un po' in realtà non fa più molta notizia). In un contesto così torbido ripiegare sull'argomento musica assume più i connotati della disperata ricerca di rifugio emotivo piuttosto che di bussola socio-politica (onere troppo gravoso, del resto, per essergli affibiato). Senza ulteriori giri, dunque, ripieghiamoci su noi stessi.


10 | Michele Amira - UFO in riviera!

Per una corretta contro-hit estetiva da jukebox che inviti alle danze orde di weirdo e VSCO girls versare 20 grammi di naïveté romagnola alla Freak di Samuele Bersani, per intenderci; aggiungere una spruzzata di hipsteria alla Mac DeMarco stile Ode to Viceroy; mescere tutto con vaghi bordeggi politici ed esistenzialisti alla Niccolò Contessa. I ritmi bossa nova quasi impediscono di sbagliare sulla stagione di riferimento del pezzo, i synth astrali e a tratti spiazzanti condiscono il tutto con la giusta dose di malessere. Il pop di Michele Amira ha una vena ludica e di minalismo lo-fi che si affilia a quella schiera di crooners casual e nonchalant imperversanti sulle nostre sponde dalla seconda metà degli anni '10 per il tramite del Pacifico .


9 | Tuma, Manu Funk - Io non sono figo

È possibile vivere al di fuori dei modelli imposti dalla società? C'è vita nell'iperuranio, dove le idee sono ancora incontaminate dalla tendenza alla massificazione umana? Il rifiuto all'omologazione e il disinteresse al giudizio sono temi cardine nel dibattito popolaresco della società dei consumi (e il nuovo pezzo di Tuma ne è un inno), ma fino a che punto ci si può spingere? Perchè sì, il flusso di coscienza a tema satira sociale, ironico e ben scritto certo, ma con più di un occhio di riguardo alla freschezza radio friendly sulla falsariga di Willie Peyote, conosce già una linea ereditaria anche piuttosto lunga. Lo so che è un po' cervellotico il discorso, ma il senso è tutto qui: in quel "ho sempre invidiato il ritmo afroamericano" su un tropicale beat samba.


8 | BRX!T - Voyager

Non mi sembra di ricordare esistano trattati sul significato grafico dei marchi, fatto sta che il voler ricorrere al caps lock debba pur avere un suo significato. Tant'è che ho presagito una veemenza sfacciata, un'attitudine punk ma glamour, già dal quel BRX!T (che forse non a caso incorpora in sè un punto esclamativo quale connaturata indole all'auto-affermazione) prima ancora di premere play sul nuovo singolo. E non c'era da sbagliarsi, perchè il retaggio punk di Voyager continua a costituire l'impalcatura generale, ma la melodia, quella dolce fino al languore, divora tutto, rendendo il pezzo sfrontatamente cantabile e dolceamaro, evitando come la peste punti morti ritmici che cedano alla svenevolezza. Se la sonda Voyager sono loro stessi, forse è il power pop a base di fluoxetina stimolante il loro SOS nello spazio.


7 | !housebroken - giugno

Si intitola giugno ed esce a giugno; sarebbe potuto uscire in qualsiasi altro periodo dell'anno e chiamarsi in un altro modo e probabilmente all'ascoltatore sarebbe cambiato poco o nulla. Affiorano qua e là dei cori alla Fine Before You Came, ma l'intelligibilità? boh, che poi, del resto, avrebbe fatto differenza alcuna? tra quel marasma di urla si intuisce pure una dichiarazione d'intenti quasi tautologica: "senza una direzione, senza un appiglio, senza un perchè". Sembra Spiderland se gli Slint avessero fatto un ascolto condiviso dei Cap'n Jazz; gli !housebroken sono uno dei progetti che in questo momento in Italia più si avvicina all'action painting in musica.


6 | I'm the Villain - Breathin

Paesaggi sonori e synth psichedelici sono le coordinate di un viaggio puramente emozionale che si rifà al dreampop mellifluo dei Beach House. I'm the Villain, progetto solista di Gianmario Galano, soffia delicate ventate di nostalgia sotto le quali si nascondo densi strati di inquietudini e feedback slowdiviani. Già sentito? Sicuramente. Ma per i patiti del genere (e ultimamente spuntano fuori come i funghi) questo repertorio sa sempre puntualmente rispondere ai turbamenti più languidi e porre, con la dolcezza delle sue melodie, domande che diventano pugni allo stomaco.


5 | Katana Koala Kiwi - Radici

Scampanellìi armonici e tutto un campionario dreamy di corde cristalline e ritmi sincopati che sembrano provenire da quel fecondo serbatoio di malinconia rappresentato dai Daughter. “Mangio radici perché le radici sono importanti”, diceva la santa di Sorrentino; allo stesso modo, le Radici dei cinque triestini sono i legami dolorosi ma fondamentali della vita. Bisogna dire che non è facile passare con certa nonchalance dall'acerbità affettiva del midwest emo ("Pensavo che fossi l’ennesima stronza ed io per te una troia qualunque") a un ungarettismo come "Fai di me come fai col sole, affogami nel mare" nel giro di due versi. Ma, del resto, era difficilmente pronosticabile anche un remix del pezzo in salsa psych con l'apporto dei Macadamia. Una storia apparentemente contraddittoria nel solco di una coerenza col precedente lavoro, sia per sound che per essenzialità emotiva, che inizia ad assegnare alla band una certa riconoscibilità stilistica nel panorama italiano.


4 | Spose Marce - Sexy Marge Simpson

Di guitar band ne escono in numero indefinibile ogni giorno anche in Italia, quasi tutte irregimentate in produzioni slavate, di volta in volta vendute come "punk" nelle varie press release. Iddio preservi dunque le apologie della trasandatezza (non dico del "disagio" perchè non è un processo, quello o ce l'hai o non ce l'hai) delle Spose Marce. In coerenza di spirito, il pezzo ve lo racconto con un monologo di qualche anno fa (più di 20, meh) di Massimo Coppola su Mtv Brand:New: "Perchè vivo in questa costante inquietudine? Perchè sono in tensione sessuale? Perchè sono un individuo. E come ogni individuo cerco altri individui con tutti i mezzi, non ultimo la musica. Ergo, la musica non è un fatto individuale, ma come tutti gli atti individuali trae significato dall'esistenza degli altri. Ma, in effetti, l'atto individuale più sublime consiste nel parlare di tutto ciò col solo scopo di attenuare la propria tensione sessuale".


3 | Little Pieces of Marmelade - Family Therapy

Il ritorno del garage duo marchigiano a distanza di quasi tre anni rappresenta un'ottima notizia per tutti i restaurazionisti che in piena pandemia auspicarono di riesumare (via talent) la salma del rock, quello più acido e diretto, che se proprio non morto, senz'altro si trova da anni in terapia intensiva presso i circuiti di massa. La line-up fa di vizio virtù, il sound graffia, la formula è ormai nota: strutture che ruotano attorno a potenti riff-o-rama melodici, batteria possente e quattro corde perennemente distorte per coprire simultaneamente il ruolo di basso e chitarra. Family Therapy è una critica espressionista all'ipocrisia domestica, in piena coerenza con lo spirito del genere: humor nero, strizzate d'occhiolino e provocazione senza scadere in volgarità gratuite. Un rimosso familiare che per metafora si fa storia patria: "we don't talk about it". Rispetto a L.P.O.M. la produzione sembra aver smussato gli angoli e l'impasto stoner, ma rimandiamo valutazioni più puntuali all'uscita prossima (?) di un nuovo disco.


2 | Blue Town - Lamiera

In tempi di intemperie geopolitche e terrorismo mediatico, una lamiera potrebbe fungere bene da ombrello agli esposti privi di iron dome. La metafora dei Blue Town è l'ultima di una genealogia di allegorie anti-atomiche malessere che annovera fra le sue fila sottosuoli, tane e rifugi. L'incipit tutto romanticismo nero e brumosi chorus di chitarre ricorda vagamente la dolce psichedelia di Cieli Neri (a sua volta ripresa quasi letterale, mi piace ricordare, dei King Crimson), ma presto si scrolla lasciando il passo a un alt-rock in salsa tricolore tanto classico quanto immune al demodè. La band aveva già esordito nel 2022 con un album che per sperimentazione e ricercatezza appare piuttosto distante da questa anticipazione (?) di nuova wave che scava una buca di 20 metri negli anni 2000, sosta nel new-romantic e rispunta nel futuro.


1 | Lenore - Ogni tanto fa un gesto chiaro

Chi legge i miei interventi con una certa assiduità sa bene da quanto tempo invoco il ritorno sul mercato italiano di un vero e proprio cantautorato al femminile che, deviando dal divismo da lap dance, riporti le nostre sponde anche solo ai fasti delle poetesse di certo alternative nostrano (Carmen Consoli, Cristina Donà, Nada). Ora, rivolgendomi al Cielo con questa preghiera, mai mi sarei aspettato di imbattermi nella variante di genere di Massimo Volume, spoken word e post-rock. Poesia salmodiata e rumore cristallizzato in tono quasi sacramentale, Ogni tanto fa un gesto chiaro è una lirica sulla negazione di verità che può valicare i confini del racconto meramente individuale per prendere i connotati più universali di riflessione sulle regole della politica e dei rapporti di potere. Tra quell'aria salmastra di arpeggi distorti, immagini della quotidianità che racchiudono drammi interiori. Versi apparentemente innocenti, declamati in leggerezza, si infrangono nella coscienza come massi nell'acqua. Una piccola gemma che forse non meritavamo.


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