Top 10 singoli indie (febbraio 2025)

Torno a scusarmi ancora una volta con tutti i lettori se, nel goffo tentativo di introdurvi a un contesto che si potrebbe definire approssimativamente "non-mainstream", sono dovuto ricorrere nuovamente nel titolo all'inflazionatissima e logora etichetta "indie", ormai di totale appannaggio della pop culture. In questo contributo troverete un caleidoscopio di generi e influenze, ben più ricco di qualsiasi playlist banalmente dedicata all'indie italiano. La selezione a questo giro è stata particolarmente complicata e la qualità (inaspettatamente) alta e diffusa. Iniziamo subito quindi.
10 | C+C=Maxigross - Ultima Canzone

L'ensemble veronese sta per rilasciare con Dischi Sotterranei il suo nono album, già anticipato da un singolo lo scorso gennaio. Lo chamber pop all'Iron & Wine di Ultima Canzone esprime, tra quegli ovattati arpeggi di pianoforte che danno l'impressione di aver la band live nella stanza affianco, una delicatezza accorata da sonata notturna. La domanda è come si collochi il brano, brevissimo e in netta controtendenza rispetto ai ritmi quasi tribali di Adattamento, all'interno della setlist ventura. L'impressione è che nelle intenzioni possa rappresentare più un intermezzo, distensivo e poetico, senza la consistenza di un singolo da heavy rotation, per così dire. Il messaggio è tuttavia urgente (e speriamo abbiano ragione), al di là di qualsiasi funambolismo critico: "come ad ogni era oscura che sparge paura poi seguirà l’alba con te". Ricercata filastrocca speranzosa.
9 | Leatherette - Delusional

Avevo già parlato in un altro contributo del loro singolo precedente e devo ammettere di avere una sorta di debole per questo quintetto bolognese. Itchy prendeva molto dalla scena new wave italiana (ci avevo ritrovato anche delle impronosticabili affinità con icone nostrane del passato come Garbo). Delusional non delira e non delude, anche lei arriva dritta. Scuote un po' le acque, ma sostanzialmente si rimane a galla tra le onde di fine anni '70-inizio '80. Qualche vago eco di Joe Strummer nella strafottenza del timbro vocale, una linea di basso che renderebbe fieri i Diaframma e persino una sezione finale di fiati che potrebbe tranquillamente essere stata campionata da Kiss Me, Kiss Me, Kiss Me. Operazione nostalgia che sembra tutto fuorché un revival.
8 | MASEENI - Dell'Io e delle Cose

Passami lo sdrogo fra, che tengo la Santa Trinità in capa. L'organetto liturgico che risuona subito dopo il verso "Hai un effetto particolare su di me, alteri la percezione dell’io e delle cose" ci eleva in quella zona liminale dove normalmente non si dovrebbe stare: con la testa nel Sacro e un piede nel Blasfemo. Questa dolce inno-dedica alla persona (o cosa) amata dal cantautore romano e agli stati alterati che essa determina cerca di svecchiare la tradizione psichedelica 60s alla The Zombies per la dimensione indie italiana. L'operazione ha la sua dose di originalità e di riuscita, suonando attuale nonostante il dispiegamento di tutto un corredo estetico-strumentale a dir poco retrò, a partire dalla copertina simil-Sky (1979) della band omonima, fino al look alla Prince Valiant. Gloria lisergica-liturgica.
7 | Garda 1990 - SPARIRE

Discorso quasi opposto per i Garda 1990. Se non vi interessano le rivisitazioni sperimentali di una tradizione dal sapore ormai agée nell'acrobatico tentativo di renderla sexy alle orecchie contemporanee, ma piuttosto preferite provare (un po' nostalgicamente) le vibes di quel tempo, senza troppe sovrastrutture, siete nel posto giusto. Sparire riporta musicalmente al midwest emo dei primi anni '10, tra Citizen e Hotelier, ma (come qui di seguito anche per i Tramontana) a uno spirito più slacker che emo: "Se cammino da solo mi perdo, non ho nessun traguardo da cercare, entro nel primo vicolo e sparisco". I mandanti morali di questo filone italiano verosimilmente sono i Fine Before You Came, ma i Garda 1990 ne deviano la traiettoria in senso più energico e meno drammatizzante. Evergreen punkettone.
6 | Giungla - Something

Non è agevolissimo inquadrare l'album di debutto di Giungla, al secolo Emanuela Drei, per la sua sperimentale commistione di distorsioni, chitarristiche e vocali, e sonorità elettroniche. L'arrangiamento minimal a base di ritmiche digitali e strumming lo fi in Something, probabilmente il capitolo chill del disco, costituiscono il tappeto per un racconto a metà strada tra il pop più dreamy e l'alt rock garbagiano. Le situazioni descritte sono solo apparentemente quotidiane, ma nascondono un senso intimamente più profondo: "I threw a slipper, it got stuck, I hate this game, it’s not fun anymore". L'hook di "If I call home" è orecchiabile e si insinua con minacciosa facilità nella testa dopo pochi ascolti, salvo cadere nell'insidioso effetto (collaterale?) di jingle pubblicitario. Tormentone alternative.
5 | Tramontana - L'arte più assurda

Il Midwest Emo alla Cap n' Jazz e Tiny Moving Parts, quello dalle stilettate math più pronunciate per intenderci, ha conosciuto negli ultimi anni in Italia una recrudescenza tale che, insomma, qualcosa vorrà pur significare. Il nuovo singolo per Kosmica Dischi della band monferrina sull'alienazione sociale attinge da questo retroterra culturale, salvo spiazzare l'ascoltatore con un intermezzo jangle, non a caso per sottolineare il distopico what if vannacciano del brano: "Indosserò i vestiti giusti al posto giusto, saluterò cortesemente con la mano, mi recherò al lavoro in auto ogni giorno e morirò dentro ma in silenzio non sia mai". Al netto di un finale che riecheggia a tratti Non mi Vedi dei Quercia, il pezzo è solido e dipinge una slackery del tutto credibile e autentica. Emarginazione e coolness possono convivere insieme.
4 | simmcat - What is real

Mesmerica e spettrale al tempo stesso la voce di questa cantautrice italiana di base a Copenhagen, una sorta di versione aggiornata di Hope Sandoval dei Mazzy Star per il contesto musicale odierno. Ti culla con un certo struggimento la nenia di What is Real che, tra schitarrate esangui e note di pianoforte risonanti nel vuoto, trova il modo di inserire anche una sezione melodrammatica di archi nel finale. È una ballad sulla perdita delle persone importanti confezionata come un dreampop sofisticato, ma più commovente che (gratuitamente) sognante. O meglio, un sogno sì, ma come disperata evasione da una realtà in cui non si riesce più a stare: "Everything is too real since you left". Una tempesta nascosta dietro la quiete.
3 | Comma - Compressione Continua

Quasi non c'è speranza, la senti tutta la pressione imposta dalla società moderna: "Non c'è niente e nessuno che resti ad aspettare; cadute continue con occhi chiusi; mi stringi, urli. Canti col piede sopra al petto, ma io piango, libero con questo peso, con pressione continua". Cortocircuito strano, anche perchè il pezzo viene introdotto con un lungo e arioso strumentale space rock che a tratti lascia titubanti: accendersi una sigaretta guardando il soffitto distesi sul letto o andare a guardare le stelle sulle alture delle Murge? (n.d.r. la band è pugliese). Poi il continuo crescendo: fraseggi math di chitarra, voce sferzante perennemente a un passo dallo spoken words e, al tempo stesso, dallo screamo, breakdown finale. Sembra un controsenso, ma in questo ascolto sono prima "caduto libero" e poi "riemerso dall'apnea". Sciamanici.
2 | Funky Lemonade - SIGNORA I LIMONI

Vedo la copertina del singolo ispirata al logo Tassoni, leggo il titolo e mi tornano in mente i Planet Funk che cantano Suck your lemonade in the sun, metto play al pezzo e mi si mette un tarlo in testa: Sledgehammer di Peter Gabriel. In sintesi, una cascata di feels in spirito quasi vaporwave, benché il synth funk del brano non abbia strettamente nulla a che fare col looping del genere. Il basso esegue un vero e proprio rito vooodo: si impadronisce prima della testa e del petto e poi arriva fino ai piedi; la chitarra ammicca ai The Meters, le tastiere delirano saltuariamente glissati. Il groove è oggettivamente il core business di questa band, talmente travolgente che dopo svariati ascolti mi sono reso conto di non aver capito il testo (o meglio, di essermene quasi disinteressato), a meno che il meme di Barletta non sia una stramba metafora di qualcosa che non riesco ancora a cogliere. (in uscita sulle piattaforme digitali domani)
1 | Demi Demure - Della Rabbia

Il beat iniziale ricorda vagamente Maniac, ma i synth eighties che si dispiegano dopo qualche secondo riconducono irrimediabilmente a certa coldwave, senza tuttavia sprofondare mai in alienanti suggestioni berlinesi. Le ritmiche uptempo sono ossessive e le sonorità spazializzate, come richiesto dal genere, ma la voce di Marika Pavani (in arte Demi Demure) non ha nulla di lugubre e si amalgama in un sound fresco che esprime una vitalità antitetica a qualsiasi claustrofobia dark. La formula è catartica: convertire rancori e incomprensioni soffocate, ormai sul punto di strabordare, in un soundtrack incalzante per "chiudere gli occhi e andare lontano". Quarant'anni fa il mantra di chi suonava nei centri industriali era fare punk coi sintetizzatori; forse chissà, le nostre attuali periferie italiane hanno saputo riattualizzarne il senso.