Top 10 singoli indie (marzo 2025)

Non mi stancherò mai di essere ripetitivo a riguardo: maneggiate con cautela il termine "indie" e non prendetelo alla lettera, non secondo i filtri post-2010. Fatta sempre la doverosa premessa, ecco a voi la top 10 di marzo.
10 | Monoscopes - The Failure

Quei rintronanti accordi di Vox Continental, quasi da liturgia vampiresca, ammiccano a un immaginario inconfondibile: il periodo aureo del psych pop, quei sixties di acidità soffusa e flower power, qui però filtrato dai Monoscopes attraverso i deserti morriconiani e le oscurità post-velvetiane. Il pezzo è una storia di disillusione sullo sfondo di uno scenario tetro e desolante, uno di quei soundtrack da ascoltare in macchina nelle bigie giornate di pioggia, confondendo l'A13 per le highway texane.
9 | pearl moth - Impending Bloom

Il brano rappresenta essenzialmente una sessualizzazione dell'Ophelia dipinta da Millais, col fine, si intende, di sovvertire una tradizione secolare che la vuole emblema femminile di fragilità, perdita e repressione per antonomasia. Già un'intenzione di rottura come questa con la koinè culturale (per quanto il fenomeno si sia piuttosto inflazionato e abbia perso parte della sua dirompenza), costituisce un atto, se vogliamo, 'punk'. In termini più strettamente musicali, il singolo si lascia trasportare quasi esclusivamente da uno strumming crunchy a controcanto della voce delicata (ma con qualche probabile ascolto garbagiano alle spalle) di pearl moth, cantautrice romana al secolo Camilla Crisciotti. Grazia di superficie, ribellismo programmatico, punte di psichedelia latente.
8 | Messiness - Previous Life

Richiamarsi oggi, in un contesto profondamente mutato, ai lisergici '70s, un passato cioè in cui la musica aveva ancora una sua funzione attiva nell'aprire le porte della percezione e smuovere le coscienze alla controcultura, spesso e volentieri si traduce in un atto di rifiuto individuale, "assordati dai lamenti strazianti di una generazione idiota, vanagloriosa e senza speranza". Disillusi da una cornice insipida e inerme, si finisce per rimpiangere il tempo perso ad assuefarsi a una realtà-gabbia e a fantasticare ucronie, come nel nuovo singolo dei milanesi Messiness. Il viaggio psichedelico proposto dalla band è in realtà invitante, sin dalle scelte estetiche e soniche, che siano le cromie allucinogene di una copertina retrò alla Sky o i synth aciduli in punta di piedi. L'impressione è però che il side di questo filone sia il richiamo a una patina superficiale che attrae pubblico come una lampada UV con le zanzare.
7 | Solaris - Redenzione

Il basso sludge che entra dopo qualche secondo sembra assurgere quasi a mugugno psicotico, a lamento tormentato di una band che celebra un mondo ormai deteriore. Il noise rock alla Metz si attaglia praticamente connaturale a questo tipo di rant contro una società al collasso. La cavalcata è ritmicamente funesta e marziale, ma i toni non sfociano mai nel pigfuck. Al contrario, i Solaris opzionano una narrazione analitica, senza eccessiva saturazione (vocale o strumentale che sia), per raccontare un clima di sfiducia verso i pari, le istituzioni e il destino. C'è rabbia, disgusto, indignazione, ma con quell'apparente rassegnazione di chi ha già elaborato la cosa. Fa piacere comunque scoprire che l'eredita dei Fluxus prosperi ancora qui da noi.
6 | Davide Amati - Rabbit

Pronti, via, e subito un riffettone scorticato, rifiorito dal più acido e dimenticato album dei 70s. I versi si ammantano di una psichedelia d'altri tempi e credo richiamino metaforicamente il conflitto tra innocenza e brutture della società ("Roger Rabbit dove scappi, ti faremo a pezzi"). Apprezzabile, a livello espressivo, come i momenti più malinconici vengano sottolineati, quasi a mo' di madrigale in opposizione alle sfuriate fuzzose, da arpeggi distesi di hohner pianet alla Genesis. Sonorità del genere nell’ultima era geologica italiana hanno trovato fortuna solo in alcune tracce di quel capitolo granitico che è stato Requiem dei Verdena. Ruvido, ma discograficamente necessario in questo momento.
5 | CALLIOPE - cuore/lingua

La grazia della penna, forte di un linguaggio spiccatamente visivo ma ampiamente intellegibile (si potrebbe dire, nomen omen, col cuore sulla lingua), e l'ariosità del timbro vocale, conferiscono particolare spleen a questa poesia sull'incomunicabilità. Anche quando l'arrangiamento sembra scovare una grinta rock, a dominare la scena è il candore melodico e l'attitudine serafica di Giulia Agostini, cantautrice toscana in arte CALLIOPE, accostandosi stilisticamente al bedroom pop e a proposte musicali degli ultimi anni come Flower Face e Meaningful Stone. Raccomando ascolto in notturna, soli alla guida; hitta decisamente di più.
4 | Garda 1990 & Sick Tamburo - Bulma

Reduci da Sparire, il secondo estratto dei Garda 1990 lascerebbe presagire senza troppo margine di dubbio la direzione intrapresa dalla band per il loro sophomore album (in uscita il 4 aprile). Anche Bulma, in duetto con Sick Tamburo, tratta di marginalizzazione sociale in un contesto in cui gli "occhi spietati" li fa solo "chi ha tutto da perdere". La controparte, invece, pur di uscire dall'invisibilità, accetterebbe di vedersi la "testa spaccata" purché "su muri gloriosi". Midwest emo goes to indie all'italiana con tanto di synth vaporosi finali, meno vigoroso e adolescenziale, più melodico e introspettivo, dolceamaro al punto giusto.
3 | saiph - viaggio senza meta
Quell'estetica shoegaze agrodolce, divenuta virale tra la generazione Z per mezzo di TikTok e Wisp, è sbarcata in Italia già da qualche tempo e ha trovato in Chiaroscuro una sua espressione locale più compiuta. Saiph sembra esserne a sua volta una declinazione, se possibile, ancora più introspettiva, minimal e intima, lontana dal wall of sound shieldiano e più vicina al concetto di ambient, ma forte di una delicatezza del tutto autentica che meglio non potrebbe sposarsi con la fragilità ed etereità richieste dal genere. "Il futuro è solo il ricordo di uno splendido passato", recitava una vecchia band a dir poco controversa che su questo, però, forse aveva ragione.
2 | Edna Frau - See Me

Sull'onda lunga del post-punk revival, dettata negli ultimi anni dalla parabola di The Lounge Society, Paramore e compagnia cantante, la formazione ravennate degli Edna Frau opta per una via parallela, forse più retrospettiva, richiamandosi agli Editors di The Back Room (a loro volta storicamente e ingiustamente pluri-accusati di contraffazione degli Interpol), ma in chiave meno gelida e più danzereccia. Il risultato è una cavalcata claustrofobica da vibes inizio anni 2000, derivativa come molte cose di questo filone, ok, ma oltre i limiti possibili della radiofonicità e dell'ipnoticità.
1 | Attawalpa - Hilarious in Love

Il gusto old fashioned è qualcosa che mi tocca sempre personalmente, ma per il nuovo singolo del cantante di Winchester, Attawalpa, al secolo Luis Felber, si potrebbe parlare quasi di 'cristallizzazione'. Già l'introduzione a base di acustica e ritmi conga richiama atmosfere '60s alla Rolling Stones, ma le sviolinate beatlesiane che introducono il chorus e il giro di basso (che ricorda Fools Gold degli Stone Roses) riconducono a un codice stilistico ben definito. Nel complesso un post-britpop alla Richard Ashcroft, non particolarmente rivoluzionario, ma ad alto rischio di earworm causa refrain infidamente catchy.