Vera Slö - rêverie

Vera Slö - rêverie

Dopo la release del loro primo EP, astratta, i Vera Slö tornano a distanza ravvicinatissima (e dopo non poche vicissitudini legali legate al loro precedente nome) con rêverie. Il nuovo progetto è uscito il 25 Aprile per l’etichetta romana indipendente Kosmica Dischi, ed è stato registrato presso il VDSS Studio Recordings. Ancora una volta quattro brani e un sound rinnovato, che tende tanto a strizzare l’occhio al suo predecessore quanto a prenderlo per mano per condurlo verso nuove possibilità. Rimanendo “fedeli alla linea” shoegaze, i Vera Slö si scrollano di dosso l'etichetta di underdogs, riconfermandosi sul genere che sta vivendo un momento fortunato nel panorama underground italiano. Concettualmente il disco affronta i temi dello scorrere del tempo, della nostalgia, dei sogni mancati e delle speranze silenziosamente custodite: un disco a tratti splenetico, a tratti ottimista. Ne abbiamo parlato con loro in quella che è la prima intervista ufficiale della band.


Ciao ragazzi, questa è la vostra prima intervista ufficiale quindi vorrei iniziare chiedendovi: chi sono i Vera Slö?

Simona (bassista e voce): Innanzitutto ci ripresentiamo con una nuova veste. Dopo essere entrati nel roster di Kosmica Dischi e aver rilasciato il primo Ep, alcune vicende legali ci hanno portato a cambiare denominazione. Il nostro progetto peró nasce già nel 2023 e alcuni di noi suonavano insieme sin da ragazzini, ma solo in tempi recenti abbiamo deciso di dare una forma precisa alle nostre idee. Ci hanno sempre definito shoegaze (che è poi il trait d’union tra di noi), ma nel tempo abbiamo allargato la nostra sfera di influenze.
Vinz (batterista): Io, Davide e Chris suonavamo insieme da molti anni prima, ma con Simona abbiamo iniziato a prendere una direzione più precisa. Mentre loro tre condividevano un gusto musicale più orientato a generi come lo shoegaze o il dreampop, io avevo riferimenti musicali provenienti dagli anni '70. Mi hanno tirato dentro col tempo in questa loro dimensione.

Ad aprile è uscito "rêverie", il vostro nuovo EP. Il titolo è molto evocativo, richiama a una situazione onirica nella realtà fisica in cui si vive, la fantasia in cui ci si rifugia. Vi chiedo quindi quali sono i motivi poetici dietro l'EP e se ci sia un filo conduttore tra i brani.

Davide (chitarrista): Avevamo in testa fin da subito di voler creare un Ep che suonasse e si leggesse come un unico brano, legando fra di loro anche le code dei pezzi.
Chris (chitarrista e voce): Personalmente, volevo che il disco suonasse il più “autunnale” possibile. Era un periodo in cui iniziavo a fare i conti con l’età che avanza e, come dico spesso, mi trovavo in quella situazione liminale di chi si sente troppo vecchio per sentirsi giovane, ma ancora troppo giovane per potersi definire vecchio. Questa sensazione, almeno dal mio punto di vista, è stata pesantemente riversata nel lavoro.

Il fatto di scrivere in italiano vi contraddistingue, nello specifico i vostri testi sembrano sempre rimembranze oniriche, come quando si tenta di raccontare spezzoni di un sogno appena fatto: immagini, sensazioni, frasi sconnesse, quasi a voler fungere da eco nella testa di chi ascolta. Che tipo di approccio usate? Avete influenze particolari?

Chris: Racconto un caso singolare (era la prima volta che mi approcciavo alla scrittura in questo modo), ma a suo modo significativo: quando iniziai a pensare Rêverie, volevo che il pezzo non si legasse troppo all’esperienza personale, per suggerire piuttosto una dimensione “universale” di nostalgia. Chiesi ai ragazzi della band di raccontare a turno la prima immagine che gli passava davanti gli occhi pensando alla propria infanzia. Ogni loro esperienza è diventata poi un verso nella prima strofa del brano.
Vinz: Il primo EP l’ho sentito particolarmente. C’era molto delle mie esperienze buie e personali di quel periodo e della mia successiva rinascita spirituale, come mi ha poi rivelato Chris. Il gruppo mi ha aiutato tanto a superare quel momento, i quattro pezzi di Astratta parlano proprio di questo.

Nonostante esca a poco meno di un anno di distanza , in "rêverie" c'è un'evoluzione del sound palese rimanendo fedeli alle atmosfere di "astratta": quali sono state le influenze musicali per questo nuovo lavoro? Si può dire che la title track sia l'esempio più lampante di questa evoluzione? Raccontateci un po’ di lavoro dietro le quinte.

Davide: Alcuni sono nati praticamente nello stesso periodo di astratta. Non ci siamo mai fermati perché originariamente volevamo una sorta di “lato B”. Quando abbiamo iniziato a rifinire le tracce, però, queste hanno assunto involontariamente un’identità più forte e l’Ep è diventato un lavoro a sé. Anche se in realtà i due dischi possono essere ascoltati di fila, per chi vuole “astrarsi in rêverie”.
Chris: Le influenze sono sempre le stesse (sarebbe troppo banale citare i classici dello shoegaze), ma in questo mi piace giocare a carte scoperte e citare il mio punto di riferimento personale di scrittura, che poi per forza di cose, sommerso da distorsioni e dal background di ognuno di noi, non emerge così lampante: i Notwist.
Simona: Rispetto agli inizi più “fuzzosi” alla My Bloody Valentine, abbiamo smussato un po’ i contorni con influenze degli Slowdive e soprattutto molto alternative, sempre in base all’esigenza espressiva dei pezzi.

Parliamo della sezione ritmica: batteria e basso sembrano essere il perno attorno al quale è ruotata l'evoluzione sonora della band (penso alla fine di "visione periferica" e la stessa "rêverie"). È uscito in maniera naturale o ci sono stati dei ragionamenti che hanno portato a sezioni decisamente più "staccate", operando un leggero cambio di rotta dal flusso perpetuo del primo EP?

Vinz: Il mio astro di riferimento è John Bonham, il mio modo di suonare è profondamente influenzato dalla sua cassa, come si può sentire in gravare (di sotto). Questo background è stato importante perché l’idea era di creare ritmi più galoppanti e soprattutto qualcosa di più personale rispetto al primo Ep, in cui iniziavo a masticare per la prima volta il genere ed ero ancora in una fase, per così dire, di “studio”.
Simona: Ho pensato di creare delle linee di basso più melodiche, quasi cantabili a sé, per creare un’atmosfera che accentuasse la nostalgia e il tono melodrammatico, in sintonia con il mood del disco.
Davide: Volevamo inserire più sezioni interessanti all’interno dei brani, creando strutture armoniche ricche. Ci siamo concentrati prevalentemente sull’intelaiatura ritmica per assecondare l’impetuosità dei testi, più che il sentimento del lasciarsi andare che invece è prevalente in "astratta".

"Böcklin suona" è sicuramente il brano che (anche dal vivo) mi ha impressionato maggiormente per come riesce a spiccare nella vostra setlist, tanto dell'EP quanto live. Una ballad dream pop impregnata di tanto riverbero quante lacrime versate, una danza soave tra voce maschile e femminile sulla melodia intessuta dalle chitarre in pieno stile shoegaze. Come nasce questo brano? A cosa fa riferimento il titolo?

Simona: Il titolo allude al famoso autoritratto di Böcklin con la Morte che suona il violino (in quel caso in realtà il pittore dipinge, ma ci piaceva immaginare stesse suonando la sua Fine). Il pezzo è praticamente un valzer, volevamo ricreare una sorta di danza macabra. Le voci infatti sono più lamenti che si rispondono a vicenda.
Davide: Le stesse chitarre, se ci fai caso, sono pensate per “rispondersi”, proprio come le voci.
Chris: Riguardo il suo significato, quello che rimane nel tempo non è quasi mai cosa voleva dire autore X nel brano Y, ma cosa ci ha sentito ognuno di noi, e penso sia anche giusto così. Posso però dire, a titolo personale, che Böcklin è la cicatrice che non mi si è mai cauterizzata. Il fatto che suoni sognante e “lenitiva” è voluto solo fino ad un certo punto. Magari è anche confortante, vorrà dire che ci inizio a convivere pacificamente.